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Sicurezza su Facebook: regolare le impostazioni per non farsi rubare i dati

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valeria bellagamba
Computer, dati (iStock)

Sicurezza su Facebook: regolare le impostazioni per non farsi rubare i dati personali.

Più facile a dirsi che a farsi. Dal momento un cui siamo su Facebook, o su altri social, volenti o nolenti cediamo una parte importante de nostri dati personali, quelli che leggi nazionali sulla privacy sempre più sofisticate e regolamenti internazionali cercano di proteggere, ma che siamo noi a dare via con grande facilità e noncuranza, ignorando completamente le conseguenze anche molto gravi che ne possono derivare.

Dopo aver percorso brevemente ciò che è accaduto, vi forniremo utili indicazioni per proteggere i vostri dati.

Sicurezza su Facebook e scandalo Cambridge Analytica

Un esempio è lo scandalo scoppiato in questi giorni di Cambridge Analytica, la società di ricerca che ha raccolto i dati di utenti Facebook in modo illecito e ne ha fatto un uso altrettanto illegittimo. La società ha raccolto i dati degli utenti tramite normali applicazioni, a cui gli utenti stessi si iscrivono spontaneamente, come ad esempio quelle che accettiamo sul nostro account quando partecipiamo ad uno dei tanti test presenti su Facebook, dando loro la possibilità di accedere ai nostri dati.

Le applicazioni usate da Cambridge Analytica, tuttavia, avevano permessi speciali di accesso ai dati degli utenti, maggiori delle normali app, perché sviluppate da un professore universitario di Cambridge, Aleksandr Kogan, a scopo di ricerca. Kogan, che gestisce la Global Science Research (GSR),è un professore di psicologia che aveva sviluppato l’applicazione “thisisyourdigitallife” che si presentava come strumento per effettuare ricerche psicologiche, promettendo di indovinare alcuni aspetti della personalità degli utenti, come riporta Il Post.

Circa 270mila persone hanno installato e usato l’app, convinti di partecipare ad un esperimento di psicologia. In questo modo Kogan è entrato in possesso di molti dati degli utenti: posizioni geografiche, pagine seguite e contenuti a cui gli utenti avevano messo “mi piace”, in alcuni casi perfino i suoi messaggi privati, ma soprattutto le attività degli amici. Così da meno di trecentomila utenti, è stato possibile raccogliere informazioni personali su 50 milioni di persone. Quest’ultimo aspetto è quello più impressionante: l’aver raccolto i dati della cerchia di amici e contatti su Facebook, dell’utente monitorato, quindi di persone che non avevano scaricato l’app e non avevano dato il consenso alla raccolta dei propri dati personali.

Aleksandr Kogan ha poi venduto questi dati a Cambridge Analytica, violando i termini di utilizzo di Facebook che proibiscono ai proprietari delle app di condividere informazioni personali sugli utenti con terze parti.

Quando Facebook, nel 2015, ha scoperto questa raccolta impropria di dati sulla propria piattaforma, ha rimosso la app thisisyourdigitallife e ha ordinato a Kogan e Cambridge Analytica la cancellazione dei dati raccolti. La società, però, non li ha cancellati tutti. Una situazione che mostra l’estrema fragilità della rete web e dei social media e la nostra enorme esposizione come utenti. Nemmeno abilitando le più strette impostazioni sulla privacy siamo veramente al sicuro.

Cambridge Analytica non avrebbe tecnicamente “rubato” dati degli utenti Facebook, ma li avrebbe raccolti in modo illegittimo, non per scopi di ricerca, ma al fine di usarli per campagne pubblicitarie in ambito commerciale e politico, le due divisioni che formano la società.

I tecnici di Cambridge Analytica hanno utilizzato i dati raccolti per profilare gli utenti in base alle regole della psicometria, quella branca della psicologia che individua il particolare profilo psicologico di una persona in base alle sue preferenze, alle sue azioni e interazioni. Ad esempio dai “mi piace” messi in modo ricorrente su determinati post su Facebook, dall’iscrizione a certe pagine e da altre azioni e interazioni sui social si possono ricavare molte informazioni su un individuo, perfino di natura politica, anche quando tali preferenze non erano mai state manifestate pubblicamente.

Quando la società la società delineava i profili degli utenti Facebook e degli amici della loro rete, metteva poi a disposizione questi dati per il loro utilizzo a scopi commerciali o politici, per vendere un prodotto o promuovere un candidato. Cambridge Analytica agisce in questi casi lavorando su piccoli bacini di utenti e propagandando (o millantando che dir si voglia) particolari vantaggi offerti dall’azienda o dal partito politico sponsorizzato, oppure mettendo in evidenza i difetti degli avversari. Un sofisticato sistema di propaganda che colpisce i piccoli interessi delle persone ed è in grado di influenzarne e modificarne le convinzioni e di conseguenza determinarne i comportamenti.

Non solo, Cambridge Analytica avrebbe a sua volta venduto i dati così raccolti a terze parti.

Tra i clienti politici di Cambridge Analytica, come indicati sul sito web ufficiale dell’azienda, ci sono stati la campagna elettorale per Trump presidente, quella per il senatore Ted Cruz, sempre alle elezioni presidenziali, una campagna contro Hillary Clinton, la propaganda per diversi leader politici in Asia e Africa e persino un partito politico italiano di cui non è stato rivelato il nome, che nel 2012 avrebbe incaricato la società di individuare il proprio target di riferimento per riposizionarsi sulla scena politica a distanza di 30 anni dai successi negli anni ’80.

Su Donald Trump e Hillary Clinton sappiamo come è andata. Fino a che punto il voto nei singoli Stati Usa, che è stato decisivo per l’elezione alla Casa Bianca, è stato influenzato dalle manipolazioni tramite Facebook di Cambridge Analytica?

In tutto questo scenario qual è stato il ruolo di Facebook? Quello di aver lasciato campo libero a Cambridge Analytica o per complicità nell’uso scorretto dei dati o per incapacità di tenere sotto controllo e proteggere i dati dei propri utenti. In ogni caso, il social network più importante del mondo ha colpe gravissime in tutta la vicenda, ha perso credibilità e affidabilità e si è visto dal tonfo delle sue azioni in borsa, che hanno trascinato al ribasso anche quelle degli altri social network.

Mark Zuckerberg, fondatore e amministratore delegato di Facebook non si è pronunciato pubblicamente. La società ha pubblicato a propria discolpa solo un comunicato generico, in cui si definisce vittima di quanto accaduto.

I fatti risalgono al periodo tra il 2014 e il 2015. Quando Facebook si è accorto della raccolta enorme dei dati dei suoi utenti su vasta scala ha chiesto a Cambridge Analytica di cessare questa attività scorretta e cancellare i dati di cui era entrata in possesso, ma senza successo. La società di Zuckerberg ha preso soltanto deboli precauzioni e solo dopo che è scoppiato lo scandalo ha sospeso Cambridge Analytica e Global Science Research dal suo social network. Soprattutto non ha avvisato i suoi utenti.

Nel frattempo Zuckerberg è stato convocato dalle autorità governative e parlamentari britanniche e statunitensi, per riferire sull’accaduto.

La scoperta del perverso meccanismo è stata possibile grazie ad una “talpa”, Christopher Wylie, un giovane ricercatore informatico ex collaboratore di Cambridge Analytica che ha rivelato i meccanismi con cui operava la società al New York Times, in un’inchiesta uscita il 17 marzo scorso. Sono seguiti i reportage del Guardian e dell’Observer.

Sicurezza su Facebook e impostazioni della privacy: come proteggerci

A seguito dello scandalo Cambridge Analytica, come possiamo proteggere i nostri dati?

La soluzione più drastica è quella di cancellarsi da Facebook, ma non tutti possono farlo, per vari motivi.

La seconda opzione è quella di installare meno app possibili, in modo da cedere meno dati, e controllare sempre quelle che si installano, rimuovendo le app inutili o quelle che non usiamo più.

Dalla pagina delle app nelle impostazioni di Facebook possiamo controllare anche il tipo di informazioni che decidiamo di condividere con il gestore della app installata e, in caso, limitarle. Ciascuna app, infatti ha le sue impostazioni.

Screenshot impostazioni delle app su Facebook

Sotto all’elenco delle app installate appare un altro menu di impostazioni di gestione delle app, dei plugin, dei giochi e delle notifiche e anche dell’accesso ai nostri dati dalle applicazioni usate dai nostri amici .

Screenshot impostazioni app Facebook

Se si clicca su “Modifica” sotto la voce “Applicazioni, siti Web e plugin” si apre una finestra che consente di disabilitare la piattaforma. Se si sceglie di disabilitarla verrà impedito alle applicazioni e ai siti web di terzi l’accesso ai nostri dati Facebook. Allo stesso tempo, però, non si potrà più accedere con il login di Facebook alle applicazioni e siti web nei quali entravamo con il nostro profilo e soprattutto non si potranno più usare giochi e applicazioni.

Le applicazioni usate da altri e i nostri dati a cui possono avere accesso.

L’elenco riporta le informazioni a cui possono accedere le applicazioni usate dai nostri amici, in base ai dati che abbiamo deciso di condividere con loro. Possiamo disabilitare, togliendo la spunta dalla casella eventualmente selezionata, le informazioni sul nostro conto che non vogliamo siano usate dalle app dei nostri amici.

Se cancellare l’account Facebook o disabilitare la piattaforma sono misure troppo drastiche, i consigli per proteggere i nostri dati sono:

  • disinstallare le app che non usiamo più o sono superflue,
  • selezionare nelle impostazioni delle singole app che usiamo solo i dati che vogliamo condividere,
  • eliminare o ridurre le informazioni sul nostro conto usate dalle app degli altri.

Infine, ricordiamo che disabilitare o disinstallare un app da Facebook può non essere sufficiente per rimuovere le informazioni che abbiamo condiviso e può essere necessario contattare il gestore della app per chiedergli di cancellare i nostri dati.

Insomma, gestire i nostri dati su Facebook non è semplice. Il nostro consiglio è quello di condividere meno informazioni personali possibili e installare solo app davvero utili e provenienti da aziende o gestori conosciuti.

Che ne pensate unimamme?

Vi ricordiamo il nostro articolo:

Come è accaduto lo scandalo Cambridge Analytica. La spiegazione di Matteo Flora.

valeria bellagamba

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