Il 2 aprile si celebra la Giornata Mondiale della consapevolezza sull’autismo: cos’è questa condizione, chi coinvolge e a che punto sono le cure in Italia.
“Non esistono una ricetta unica e dei trattamenti fermi per tutti, ma è come cucire addosso un vestito che parte dalle caratteristiche individuali”. A dirlo è Roberta all’Espresso di Repubblica. E’ mamma di un bambino di 5 anni affetto da autismo. In realtà è sbagliato parlare al singolare perché la sindrome da spettro autistico comprende diverse tipologie, le quali appunto devono essere trattate in maniera unica.
La prima volta che si è parlato di autismo è stato nel 1943 quando lo psichiatra Leo Kanner ha individuato una serie di caratteristiche comuni in alcuni bambini. In particolare, uno di loro, Donald, non sembrava aver alcun interesse per il mondo circostante, non giocava con gli altri bambini e non rispondeva se chiamato. Inoltre andava in escandescenza se in qualche modo la sua routine veniva alterata.
I sintomi dello spettro autistico si presentano abbastanza presto (addirittura esiste un’app per cercare di avviare una diagnosi precoce) e appunto prima si fa la diagnosi, maggiore sarà la possibilità di recuperare delle funzionalità. La classificazione è abbastanza complessa, visto che per esempio la Sindrome di Asperger – considerata dal DSM, il manuale dei disturbi mentali , come separata – adesso fa parte dei disturbi dell’autismo, senza compromissione del linguaggio e senza ritardo mentale.
La Giornata Mondiale è stata istituita 10 anni fa dall’Onu per conoscere di conoscere ancora meglio l’autismo. La Giornata è sostenuta dalla Fia – Fondazione italiana autismo – che ha lanciato la sua terza campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi. Molti monumenti e luoghi di interesse si tingeranno di blu come l’Empire State Building a New York o il Cristo Redentore di Rio de Janeiro. La raccolta fondi si terrà dal 2 fino al 15 aprile e verranno lanciate campagne video e radio, su emittenti nazionali e locali. L’hashtag è #sfidAutismo18.
Le terapie hanno fatto passi da gigante e oggi i bambini possono sperare di compiere dei progressi che fino a poco tempo fa erano impensabili. Eppure il problema rimane l‘accesso e il costo: Roberta stessa ha ammesso che suo figlio Antonio è riuscito a migliore molto grazie a centro per l’infanzia, educatori professionali nel centro e a casa, piscina, percorsi motori, musicoterapia, logopedia e laboratorio psicoeducativo. Il tutto privatamente: “Non si tratta di scarsa fiducia in chi lavora nel “pubblico”. È una questione di possibilità. I fondi sono pochi, quindi sono pochi i medici, i tecnici e le strutture: saremmo riusciti a garantire ad Antonio un solo trattamento alla settimana e sarebbe stato troppo poco”.
“Le leggi esistono, come la 134 La 134 del 2015, l’inserimento dell’autismo nei LEA – Livelli Essenziali di Assistenza… Ma sono belle come le favole che non trovano riscontro nella realtà”. Oggi come oggi, insomma, i bambini non sono tutti uguali: se nascono in una famiglia con delle possibilità economiche allora c’è speranza che anche i casi gravi possano migliorare, mentre per chi queste possibilità non ce le ha è davvero complicato.
“Si assiste alla “lotteria” determinata dal fatto che la qualità di vita e le risposte adeguate spesso dipendono una serie di fattori casuali: in quale famiglia si nasce; in quale luogo; chi è il medico che fa la prima diagnosi, valutazione e presa in carico; chi è l’operatore o il professionista che somministra le attività abilitative, che conoscenze ha e di quali approcci, validati scientificamente, si avvale; quale è la scuola che si frequenta; che competenze ha il personale scolastico curricolare, specializzato e di supporto; come viene sostenuta e istruita la famiglia; quale il contesto sociale in cui si vive, etc. etc” dice Roberto Speziale, residente nazionale Anffas Onlus – Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale.
In Italia si stima che siano 500 mila le famiglie coinvolte, con 4 bambini su 1000 che ne vengono colpiti. In prevalenza ad esserne affetti – per ragioni ignote – sono i maschi: la loro percentuale è di 3 o 4 volte superiore rispetto alle femmine.
“L’intervento precoce è fondamentale: équipe specializzate e multidisciplinari oggi sono in grado di fare diagnosi già a 2-3 anni, a 4 nelle situazioni maggiormente complesse, per poi adottare il trattamento più idoneo caso per caso” spiegano gli specialisti del Bambino Gesù.
Proprio qui si viene effettuata una ‘terapia cooperativa mediata dai genitori’: si rivolge all’interno nucleo famigliare e coinvolge il bambino prima della scuola. Il percorso dura 6 mesi: s’inizia con una seduta a settimana fino ad arrivare ad una volta al mese. “Il trattamento consente di costruire, in un arco limitato di tempo, un’interazione più sintonica tra genitori e figlio che favorisce lo sviluppo delle competenze sociali e comunicative nel bambino, oltre ad aumentare il senso di autoefficacia dei genitori e ridurne lo stress” dicono dall’Ospedale Bambino Gesù.
Come dicevamo sono fondamentali le terapie, ma spesso le famiglie vengono lasciate da sole, non solo ad affrontare una diagnosi da cui non si può guarire, ma con l’incognita di sapere che cosa accadrà una volta che i figli saranno adulti o quando i genitori non ci saranno più. Oggi infatti i ragazzi autistici dopo i 18 anni non hanno più cure specifiche, visto che la loro patologia rientra nella più generale “disabilità”.
La scuola inoltre non è preparata per affrontare i bisogni speciali dei bambini affetti da autismo: “È un’altra mancanza dello Stato – ha detto Roberta – che non tiene in considerazione la complessità dell’autismo. E nemmeno la scuola è davvero preparata. I docenti di sostegno dovrebbero essere formati su disturbi e patologie specifici, invece soffrono anche loro questa carenza che poi ricade tutta sul bambino”. Inoltre, i centri specializzati per il trattamento dell’autismo sono molto pochi: “Parliamo solo di alcune esperienze, anche se di grandissima qualità, mentre tutto questo dovrebbe essere stato messo già a sistema da tempo ed in modo uniforme su tutto il territorio nazionale” dice Speziale.
Come risultato molti bambini sono lasciati a sé visto che sono problematici e difficili da gestire, e l’inclusione di questi bimbi nella scuola è complicato. Il centro studi Erikcson ha pubblicato su Facebook un documento su 10 cose che un bambino con autismo vorrebbe che si sapesse:
1 – Io sono un bambino
2 – I miei sensi non si sincronizzano
3 – Distingui tra ciò che non voglio fare e ciò che non posso fare
4 -Sono un pensatore concreto. Interpreto il linguaggio letteralmente
5 – Fai attenzione a tutti i modi in cui cerco di comunicare
6 – Fammi vedere! Ho un pensiero visivo
7 – Concentrati su ciò che posso fare anziché su ciò che non posso fare
8 – Aiutami nelle interazioni sociali
9 – Identifica che cos’è che innesca le mie crisi
10 – AMAMI incondizionatamente
E voi unimamme cosa ne pensate? Intanto vi lasciamo con il post che parla di un progetto per migliorare la diagnosi e i trattamenti dell’autismo.
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