Nella prima puntata di “Lessico Famigliare” Massimo Recalcati ha parlato della figura della madre e della sua funzione di cura.
La trasmissione è iniziata con le immagini di un cortometraggio del 1969, “La mamma di Torino“, in cui si vede un bambino che gioca sul terrazzo mentre la madre è impegnata a svolgere alcune faccende domestiche. Si sente un urlo: il bambino sta per cadere ma le mani della madre intervengono.
Secondo Recalcati le mani sono il primo volto della madre. La madre è colei che risponde al grido di aiuto del bambino, e anche per Freud, spiega lo psicoanalista, la madre è il primo soccorritore.
La figura della madre, secondo Recalcati, non va confusa con quella della mamma biologica, perché essere genitori non è un fatto di sangue, è una scelta e cita la frase “tutti i genitori sono adottivi“. E specifica:”non è sufficiente uno spermatozoo per fare un padre, non è sufficiente un utero per fare una madre“.
C’è una madre ogni qual volta “la vita inerme trova un soccorso, un’accoglienza“. Le mani quindi hanno la funzione simbolica di distinguere la genitrice dalla madre. Lo psicoterapeuta fa poi l’esempio di papa Francesco che definisce la Chiesa la “madre”, perché accoglie la vita.
Il secondo volto della funzione materna è lo sguardo della madre, inteso come desiderio. Il bambino incontra come primo sguardo del mondo quello della madre. Per il bambino lo sguardo della madre rappresenta il mondo.
Se il primo sguardo della madre è uno sguardo felice, innamorato, sereno, che vive la gioia della maternità, allora l’orizzonte del mondo per il bambino si dilata: è un incontro aperto, luminoso.
Se invece lo sguardo della madre è triste, cupo, angosciato, depresso, è come se questo sguardo coprisse il volto del mondo, non si ha quindi un mondo aperto, ma un mondo chiuso.
Recalcati fa un esempio, citando uno studio sui bambini orfani nel primo anno di vita, degli anni 50, in Inghilterra. Qui i bambini venivano accuditi in orfanotrofi efficienti, venivano soddisfatti tutti loro bisogni primari, ma ciò non era sufficiente a far cresce l’essere umano spiega l’esperto. Non avevano la presenza affettiva, emotiva della madre, non beneficiavano dello sguardo della madre.
Un uomo non è una pianta, non gli basta l’acqua, ha bisogno di un elemento speciale, quel “lievito speciale“, che è il desiderio della madre rivolto verso quel figlio.
Dove c’è madre c’è cura particolareggiata del bambino, non cura anonima come quella di infermiere pur bravissime. Se la cura è anonima non basta a dare un senso alla vita. “Una cura sa essere particolare quando sa rendere ogni figlio unico, insostituibile.” La madre è il nome di una cura particolare e il desiderio materno riesce a trasformare ogni figlio in figlio insostituibile.
Per spiegare questo concetto, Recalcati parla di Maria, la Vergine Maria, e del mistero della sua maternità. Maria è una giovane madre che porta nel grembo il figlio, che porta vita nella vita, che prova la gioia della gravidanza. E sa che però la vita che porta con sé non è sua, è una vita diversa. E ciò non vale solo per Maria, spiega lo psicoanalista: ogni madre che cresce il proprio figlio con il sangue, fa esperienza di questo figlio come figlio non proprio, ogni madre sa che crescerà un figlio per lasciarlo poi vivere la sua vita.
“Lasciare andare i figli non è forse il dono più alto della maternità?” domanda l’esperto.
Addirittura al momento del parto molte mamme, verso la fine, sentono che se non spingeranno il figlio fuori questi sarebbe potuto morire. “Se non si lascia andare il figlio, lo si uccide...”.
Fa poi un altro esempio, raccontando il racconto biblico di Re Salomone e delle due prostitute che si rivolgono a lui per decidere su un bambino conteso: ognuna delle due diceva che era il suo. Alla fine la vera madre si mostra perché è colei che rinuncia al figlio pur di farlo vivere.
Il paradosso della maternità, spiega Recalcati, è in queste due donne: in ogni madre c’è la compresenza di queste due donne: “meglio che sia mio e piuttosto muoia” e “meglio che sia non mio piuttosto che morto con me“.
Una delle due preferisce la proprietà alla vita e l’altra sceglie l’ospitalità senza proprietà.
Ciò perché nella donna che diventa madre c’è il problema di come mettere in rapporto l’essere madre con l’essere donna.
Nella rappresentazione patriarcale della maternità, che è quella del passato, quando una donna diventa madre smette di essere donna. “La maternità come emendazione del peccato della femminilità“, si diventa madre ma si muore come donna.
Jack Lacan parlava della “mamma coccodrillo“, come rappresentazione patologica della concezione patriarcale: la mamma coccodrillo (o mamma chioccia) fagocita il suo piccolo per tenerlo sempre con sé.
Ma la madre che fa esperienza del dono è la madre che accetta la perdita.
Nella concezione moderna c’è un’altra declinazione della patologia, perché oggi la maternità viene vissuta come handicap sulla femminilità: maternità come danno al corpo estetico, come ostacolo all’affermazione professionale. C’è una patologia narcisistica della maternità: la donna rifiuta la madre, e spesso ciò si manifesta in una difficoltà psicologica a diventare madre, perché in realtà non lo si vuole.
Quando allora una maternità è sana? Quando l’essere madre non cancella l’essere donna. La donna non deve morire: i bambini hanno bisogno che le loro madri restino donne.
I figli hanno bisogno di essere abbandonati, hanno bisogno della presenza ma anche dell’assenza, perché altrimenti non c’è libertà e non c’è vita.
Secondo Recalcati la cultura deve prevalere sulla natura. Maschile, femminile, madre e padre sono elementi culturali. In una famiglia la funzione materna della cura può essere esercitata anche dall’uomo, così come la funzione paterna della legge può essere esercitata da una donna.
Esiste una tendenza che vorrebbe eliminare il riferimento alla maternità, alla paternità, ma per Recalcati occorre invece salvaguardare le due funzioni. La funzione materna è la funzione della cura, non anonima, non standard. Siamo nel tempo dell’incuria e occorre reintrodurre la dimensione dell’attenzione, della cura del particolare, propria della funzione materna.
La funzione del padre è totalmente diversa: ha il compito in un mondo senza legge di custodire il senso umano della legge.
La madre ha il compito di dire si, “eccomi, ti ho voluto, ti ho desiderato“: questa è la vera eredità che un figlio porta con sé. “Ti ho atteso, non sei qui per caso“.
Il nome proprio che una madre e un padre danno a un figlio è amore per il nome, non è un amore generico per la vita. E’ amore per il carattere unico del figlio, comprensivo dei suoi difetti. L’amore materno è amore per il figlio, è amore per i suoi difetti.
Se la vita del figlio è una vita animata dal desiderio, allora è una vita accesa.
La risposta alla domanda “questo bambino è stato voluto?” è la prima forma di eredità. La vita del figlio ha bisogno di essere desiderata, accolta e amata.
Ricapitolando, Recalcati ci vuole dire che un figlio va desiderato, va accolto, va curato, e amato lasciandolo andare.
E voi unimamme, avevate mai riflettuto su questi concetti? Se vi siete perse la prima puntata, potete rivederla su RaiPlay.
Seguirete la seconda puntata del programma “Lessico Famigliare” nella quale Recalcati parlerà della figura del padre?
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