Una mamma lotta contro il bullismo dopo il suicidio della figlia di 12 anni.
Fino a due anni fa Mallory Grossman era una bambina a cui piaceva fare ginnastica ed essere una cheerleader. Aveva due sorelle e un fratello e frequentava la Copeland Middle School.
Nell’autunno del 2016 diverse coetanee della scuola frequentata da Mallory hanno iniziato a prenderla di mira.
Le inviavano messaggi crudeli e postavano su Snapchat e Instagram. La umiliavano quotidianamente e la escludevano dalle attività scolastiche.
Nei messaggi le ragazzine scrivevano che Mallory era una perdente senza amici e la invitavano addirittura a suicidarsi.
Gli attacchi avevano spinto la famiglia a decidere di cambiare scuola alla bimba, mentre nel frattempo i suoi voti avevano iniziato a calare.
Mallory si lamentava spesso di avere mal di stomaco e di altri malesseri per stare a casa.
Nel suo ultimo giorno di vita la sua mamma, Dianne, è andata a parlare con il preside Alfonso Gonnella che, in tre ore di incontro le ha offerto una fish chiedendole di scrivere sopra le sue iniziali e domandandole se voleva partecipare.
Il legale della famiglia ha aggiunto che la bambina si è sentita umiliata e che il preside invece di punire i responsabili del bullismo aveva scaricato su Mallory la colpa.
“La sua brillante soluzione per 9 mesi di bullismo è stata una fish da poker? Metterci le iniziali sopra? Qualche ora dopo lei è tornata a casa e si è suicidata. Gonnella ha del sangue sulle sue mani“ sottolinea la mamma di Mallory.
La mamma aveva sollecitato diverse volte la scuola a intervenire in merito al bullismo subito dalla figlia, le risposte però erano sempre scarse.
Una volta i genitori di Mallory si sono lamentati del bullismo in mensa e la risposta della scuola è stata di suggerirle di mangiare da sola nell’ufficio di un consulente.
In un’altra occasione gli amministratori hanno suggerito ai tormentatori di Mallory di abbracciarsi l’un l’altro, senza prendere provvedimenti.
La sera prima del tragico suicidio di Mallory la sua mamma ha anche chiamato i genitori delle ragazzine che perseguitavano sua figlia, ma queste hanno negato tutto.
Il 14 giugno del 2017 Mallory, di appena dodici anni, si è tolta la vita.
Da quel momento la mamma di Mallory ha iniziato una battaglia contro il bullismo iniziando ad aprire una pagina Facebook: Mallory’s Army.
Poco dopo la morte della bambina i suoi amici e famigliari hanno indossato degli abiti blu in suo ricordo. Un imprenditore locale ha sovvenzionato la “Blue Out Bullying” e così è nato il Mallory’s Army, l’esercito di Mallory.
“Sapevo quale era stata la mia esperienza e sapevo che non ero l’unica, dovevamo fare squadra” ha dichiarato la mamma di Mallory “Questa non è una storia solo su Mallory, è di chiunque, è di chiunque abbia un nipote, una nipote, ecc…“
Successivamente la famiglia Grossman ha fatto causa al Preside della scuola per non aver fatto abbastanza per aiutare la figlia.
I Grossman hanno portato la loro lotta all’attenzione dei media internazionali.
Hanno raggiunto anche Jane Clement, madre di una matricola della Rutgers University morta a causa del cyberbullismo. Hanno parlato anche con compagnie che creano App a proposito del cyberbullismo e con legislatori.
Dianne ha ricevuto centinaia di e-mail da genitori di tutto il Paese e così ha iniziato a organizzare workshop per insegnare ai genitori circa l’anti bullismo a scuola e i protocolli anti molestie da mettere in atto.
In occasione dei sei mesi dalla morte di Mallory il senatore Repubblicano Joe Pennacchio ha telefonato a Dianne dicendo che stanno lavorando a una legge che comporti una maggior responsabilità per i bulli e le loro famiglie.
Nel frattempo Dianne sta lavorando su un documentario sul bullismo in cui condividere parte della vita della figlia.
“Spero che aiuti a guarire i cuori. Il documentario fornisce un barlume della vita di Mallory, un barlume della sua stanza” ha dichiarato la mamma su NorthJersey.com.
Unimamme, voi cosa ne pensate di questa storia?
Noi vi lasciamo con la storia di un bimbo che ha tentato il suicidio a causa del bullismo.
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