Il cammino di Santiago è stato proposto come “pena” ad un giovane italiano nato in Nordafrica al posto della prigione.
Tre mesi, tanto è durato il percorso fatto da un giovane ragazzo italiano – nato però in Nordafrica – che doveva rispondere ad un reato compiuto quando aveva 16 anni. Il giudice del tribunale di Venezia – come si legge sul sito aleteia – ha però deciso di non mandarlo in prigione, ma di metterlo, diciamo così, alla prova: avrebbe dovuto percorrere andata e ritorno il famoso cammino di Santiago. Poche regole, ma precise: arrivare fino alla fine, niente cellulare, non poteva consumare alcol o droghe. Se si fosse attenuto a tutte le regole non sarebbe finito dietro le sbarre.
Il giovane, di cui si sa poco o niente, viene da una realtà difficile e ha cominciato presto a fare uso di droghe. Per questa esperienza così particolare si è deciso di affidarlo all’associazione Lunghi Cammini, nata da poco a Mestre e che offre la possibilità del reintegro sociale attraverso il cammino.
Il ragazzo non era solo: ad affiancarlo c’era Fabrizio, pensionato ex professore, che ha deciso di prendere sotto la sua custodia il percorso – sia fisico sia emotivo – che avrebbe dovuto compiere il giovane. I due, supportati da un team di psicologi e assistenti sociali, hanno firmato un patto prima di partire in cui entrambi si impegnavano ad arrivare fino alla fine.
La coppia aveva a disposizione 40 euro per vitto e alloggio e da aprile a luglio ha percorso andata e ritorno la distanza che separa Venezia da Santiago di Compostela. Chi li ha visti insieme li ha soprannominati “nonno” e “nipote” e forse lo sono diventati veramente dopo aver passato tanto tempo insieme.
Certo, il cammino non è stato facile, visto che il ragazzo almeno all’inizio ha faticato a sottostare alle regole, come si legge nel diario di viaggio: “Fuma tante sigarette e la sera si addormenta con difficoltà. Non vuole cedere alla tentazione di procurarsi del fumo, anche se l’astinenza gli causa un po’ di ansia”. O ancora : “Soprattutto nelle città più grandi la tentazione è più forte, per cui si cerca di far coincidere le giornate di riposo con i soggiorni in paesini… Anche staccarsi dal cellulare non è facile. Diciamo che sa bene quali sono le regole che si è impegnato a rispettare, ma ogni tanto ci prova”.
Nonostante questo, però, il ragazzo – che oggi ha 22 anni – c’è il lieto fine: “mi è cambiata letteralmente la vita”, ha detto il protagonista di questa pena alternativa. Condividere in particolar modo l’esperienza con il volontario Fabrizio è stato fondamentale: “La sua presenza è stata per me come una spina che mi pungolava costantemente. Ma è stata una spina al contempo dolorosa e positiva: mi ha mostrato una vita vera e veri valori. E ho anche trovato un nonno!”
Isabella Zuliani, direttrice dell’associazione, pena che queste esperienze siano una soluzione alternativa al carcere, visto che la rinuncia e la fatica che questo percorso comporta sono comunque una lezione di vita.
E voi unimamme cosa ne pensate? Intanto vi lasciamo con il post che parla di come proteggere i bambini di oggi permetterà di avere meno criminali domani.
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