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Giornata mondiale della consapevolezza del lutto perinatale: per non dimenticare

Published by
Valentina Colmi

Il 15 ottobre è la Giornata mondiale della consapevolezza del lutto perinatale: perché i bambini persi ancora prima di nascere o alla nascita hanno diritto di vivere.

Io ho avuto 3 aborti in circa un anno e mezzo: il primo era una gravidanza extrauterina, il secondo un aborto interno a 9 settimane e il terzo è arrivato ancora prima di rendermi conto di essere incinta. Sono state esperienze molto dolorose e molto difficili, soprattutto perché non ho avuto alcun supporto da parte della cerchia di persone che frequento. Io non ho mai smesso di pensare ai miei bambini come alle stelle più luminose che esistano, perché ci sono, per me sono vissuti anche se pochissimo: giusto un attimo.

In questi mesi ho avuto modo di approfondire il lutto perinatale grazie a CiaoLapo – fondata da Claudia Ravaldi nel 2006 dopo aver perso suo figlio Lapo appunto a 38 settimane – e a Giorgia Cozza grazie al libro “Quando l’attesa s’interrompe”, in cui raccoglie le testimonianze di chi come me ha perso un bimbo in gravidanza.

Avere una giornata dedicata permette di dare una dignità ad un dolore che spesso non ce l’ha, primo tra tutti tra gli operatori sanitari. Permette a queste famiglie di avere una tutina per il proprio bambino, anche quando molto piccolo, e non che il proprio figlio venga smaltito tra i rifiuti come materiale biologico. Permette di vivere un lutto, di attraversarlo, e non di negarlo, cosa che può produrre delle conseguenze terribili.

Per molti, se un bambino viene perso in gravidanza o alla nascita, quello è un “bambino mai nato”, o perché troppo poco formato per essere considerato tale o perché in pratica non ha mai vissuto. E’ sbagliato: un bimbo vive nei pensieri dei sui genitori quasi fin da subito, gli si dà un nome, lo si prova ad immaginare. E attorno alla mamma e al papà che hanno perso un figlio bisognerebbe creare conforto e comprensione. Una persona a cui ho parlato dei miei aborti mi ha detto: “Beh, meglio adesso che dopo”. Ecco. Non c’è un meglio o un peggio. Pensate che sia una passeggiata sapere di dover prendere le pastiglie per abortire tuo figlio e poi espellerlo in bagno?

Io credo che ci sia poca consapevolezza su tutto questo. Perché purtroppo succede, ma – come accade per la depressione post partum – non si racconta. Non c’è niente di peggio che vedere una mamma e un papà lasciati soli ad affrontare la tempesta. Il dolore, se condiviso, può essere infatti un fardello meno pesante da portare.

E voi unimamme cosa ne pensate? Intanto vi lasciamo con il post che parla di cosa si prova dopo un secondo aborto spontaneo. 

Valentina Colmi

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