È stata giustiziata nella prigione centrale di Urumieh, in Azerbaijan occidentale, l’iraniana curda accusata di aver accoltellato a morte il marito nel 2012.
Zeinab veniva da una famiglia poverissima e tradizionalista che, quando lei aveva solo 15 anni, l’aveva concessa in sposa a Hossein Sarmadi. Poco dopo il matrimonio l’uomo cominciò a picchiarla e ad abusare di lei, così’ come il fratello di lui, che la violentò ripetutamente.
Zeinab fece la cosa più giusta: si rivolse alla polizia ma non la ascoltarono.
Zeinab chiese allora il divorzio, che però il marito non le concesse. E comunque la sua famiglia di origine si era rifiutata di riprenderla sotto la propria custodia.
Due anni dopo, nel 2011, Hossein Sarmadi fu trovato morto, ucciso da diverse coltellate. Arrestata e torturata per 20 giorni dagli agenti di polizia, Zeinab confessò confessato l’omicidio. Una confessione forzata che lei ritrattò quando finalmente ottenne un incontro con un avvocato d’ufficio durante l’udienza finale del suo processo.
Appoggiata dal legale, Zeinab non solo si professò innocente ma accusò dell’omicidio il cognato, sostenendo che egli l’aveva convinta a dichiararsi colpevole: in cambio avrebbe ottenuto il suo perdono, cosa che in Iran le sarebbe bastata per salvarsi.
I giudici non ne tennero conto e condannarono Zeinab a morte una prima volta. Intanto, però, si era risposata con un altro detenuto ed era rimasta incinta, cosa che per qualche mese le salvò la vita. Il bambino nacque morto, e Zeinab cadde in una grave depressione. A quel punto, incuranti delle richieste di Amnesty International, i giudici ribadirono la condanna.
Il 2 ottobre, all’età di 24 anni, Zeinab Sekaanvand è stata impiccata.
«L’esecuzione di Zeinab Sekaanvand è una disgustosa dimostrazione del disprezzo delle autorità iraniane per i principi della giustizia minorile e della legge internazionale sui diritti umani – ha dichiarato Philip Luther di Amnesty International – Zeinab aveva solo 17 anni al momento del suo arresto. La sua esecuzione è profondamente ingiusta e mostra la noncuranza delle autorità iraniane per il diritto dei bambini alla vita. Il fatto che la sua condanna a morte sia seguita a un processo gravemente ingiusto rende l’esecuzione ancora più scandalosa».
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«Sembra che le autorità iraniane stiano pianificando sempre più esecuzioni di persone che erano bambini al momento del crimine, e lo fanno con un preavviso molto breve, per minimizzare la possibilità di interventi pubblici e privati efficaci. È una violazione della legge internazionale sui diritti umani. Questa è la quinta esecuzione di un criminale minorenne che abbiamo registrato quest’anno e temiamo che non sarà l’ultima, a meno che la comunità internazionale non intraprenda azioni urgenti».
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