A SanGiuliano, in Campania, un ginecologo dichiaratosi obiettore di coscienza si è rifiutato di aiutare una donna che dopo un aborto era in preda a fortissimi dolori e in travaglio.
Nella notte tra il 30 giugno e il 1 luglio scorso una donna era arrivata alle 2.45 di notte al pronto soccorso di San Giuliano in Campania dove c’era di guardia il dottor G.D.C. La donna, incinta di 18 settimane, sta molto male, l’ostetrica e l’infermiera si accorgono subito della gravità della situazione e avvertono il medico, ma lui si dichiara obiettore di coscienza e dichiara di non poter intervenire, nonostante l’insistenza dei colleghi vista l’urgenza della situazione.
L’ostetrica Fatima Sorrentino, alle 3.12 telefona a un altro medico Crescenzo Pezone che non è né di turno né reperibile e che ribadisce che il collega presente è obbligato ad assistere la paziente.
L’ostetrica prova nuovamente a convincerlo, ma questi ribatte: “non è di mia competenza“.
Il dottor Pezone allora corre in ospedale e, accertata la gravità della situazione, interviene al posto del collega.
Qualche giorno dopo è sempre lui che scrive ai vertici della Asl Napoli 2.
Nella sua relazione si legge che la donna era in travaglio. “E di questa circostanza l’ostetrica aveva informato il dottor D.C. Pertanto, mi precipitavo in ospedale (impiegando meno di dieci minuti)». Poi entra nel dettaglio Pezone. Descrive la patologia acuta di Maria: «Mi resi conto che avendo già espulso il feto privo di attività cardiaca, doveva subito essere trasferita in sala parto. Chiamato l’anestesista di guardia, il dottor Ciccarelli, in anestesia generale procedevo….”
La Asl ha istituito una commissione disciplinare, ha ascoltato il diretto interessato e i testimoni e poi ha deciso per la sanzione più dura: il licenziamento senza preavviso.
“La giustificazione addotta dallo specialista di guardia inadempiente non è stata ritenuta valida. Voleva far intendere che infermiera e ostetrica non lo avessero avvertito. Insomma che loro avevano mentito e lui diceva il vero. E questo non è risultato dall’indagine” ha dichiarato la direttrice sanitaria dell’azienda.
Inoltre è emerso che l’aborto farmacologico era già in fase avanzata e che quindi l’obiezione non sarebbe stata valida.
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