Stress e traumi in gravidanza hanno conseguenze sul bambino. Gli studi recenti.
La condizione psicologica e l’umore della donna in gravidanza incidono sul feto e sul suo sviluppo futuro. Una futura mamma esposta a forte stress durante la gravidanza corre dei rischi non solo per la sua salute, ma anche e soprattutto per quella del bambino che porta in grembo.
Recenti studi scientifici hanno esaminato gli effetti dello stress, dell’ansia e dei traumi subiti dalla donna durante la gravidanza, rilevando una correlazione con le alterazioni nello sviluppo cerebrale del feto. Un risultato che deve sollevare attenzione ed interventi mirati.
La salute della mamma in gravidanza influenza lo sviluppo del bambino e le condizioni di stress, ansia, i traumi e l’umore possono avere un ruolo decisivo nel suo sviluppo cerebrale. Lo hanno accertato negli ultimi anni diversi studi scientifici che hanno evidenziato un legame tra i sintomi di stress, ansia e depressione in gravidanza e le alterazioni a livello fisiologico e comportamentale nei bambini, fino dalla prima infanzia e anche più a lungo termine. Sono ancora da stabilire, tuttavia, i meccanismi con cui lo stress della mamma influisce sul feto.
Uno studio italiano e britannico, condotto in Lombardia tra Lecco e Como e pubblicato sulla rivista Psychoneuroendocrinology, ha analizzato per la prima volta quello che accade nel sistema nervoso simpatico e nel sistema di risposta infiammatoria della donna in gravidanza, che possono essere alterati in presenza di stress e depressione.
Lo studio, Effetti della Depressione sull’Infante (EDI), è nato dalla collaborazione tra l’IRCCS Medea e il Research Department of Clinical Educational and Health Psychology dello University College di Londra e ha preso in esame un campione di 110 mamme e bambini sani, reclutati negli ospedali Valduce di Como, Mandic di Merate, Fatebenefratelli di Erba e nel consultorio La Famiglia di Como, seguiti dalla gravidanza fino ai 3 anni di vita.
Gli effetti dello stress e della depressione in gravidanza, sono stati analizzati al terzo trimestre di gestazione. Alle donne sono stati sottoposti due questionari per valutare la presenza di sintomi depressivi e ansiosi (Edinburgh Postnatal Depression Scale e State/Trait Anxiety Inventory) e sono stati prelevati campioni di sangue e di saliva per misurare i livelli di alcuni markers infiammatori, come l’Interleuchina-6 e la proteina C reattiva, e di alcuni markers dei sistemi biologici di risposta allo stress, come il cortisolo e l’alfa amilase.
I bambini sono stati esaminati a 48 e 72 ore dalla nascita con un piccolo prelievo di sangue dal tallone che viene effettuato di solito in ospedale appena nati. Il test di screening serviva a misurare la loro risposta fisiologica allo stress della madre, insieme a quella comportamentale.
Dagli esami è risultato che alti livelli di cortisolo materno in gravidanza corrispondono ad un’alterata risposta allo stress nel neonato, con una marcata reattività comportamentale e una ridotta reattività fisiologica al test di screening. Inoltre, l’esposizione del feto a livelli elevati di Interleuchina-6 nella madre è associata ad una minore circonferenza cranica nel neonato, mentre i livelli di alfa amilase sono risultati correlati al peso alla nascita.
Si tratta di dati che scaturiscono solo da un’osservazione, ma che suggeriscono che le alterazioni nei livelli fisiologici di stress durante la gravidanza possano influenzare la crescita e lo sviluppo del feto con potenziali rischi a lungo termine. Occorreranno altri studi di approfondimento di questi meccanismi, ma l’obiettivo dei ricercatori è mettere a punto strategie di prevenzione e interventi tempestivi per aiutare le mamme a superare stress e depressione in gravidanza e così proteggere dalle conseguenze negative per la salute non solo loro, ma anche e soprattutto i loro bambini. Lo studio è stato descritto dal Giornale di Lecco.
Lo stress, l’ansia, la depressione e l’umore delle mamme incinte non sono gli unici fattori che possono incidere sullo sviluppo del nascituro. Anche i traumi hanno il loro peso e possono compromettere la capacità dei bambini di gestire l’ansia in futuro .
“I drammi vissuti dalle donne in gravidanza possono causare nei bambini un’incapacità nella gestione dell’ansia, che varia in base al carattere dei genitori e alla dimensione del trauma“, spiega Massimo Mari, psichiatra e direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Ospedale di Jesi, in provincia di Ancona, che il 7 febbraio presenterà nella vicina Senigallia il convegno: “Dalla gestazione alla prima età adulta, dalle normali potenzialità evolutive all’adolescente critico“.
“Alcuni meccanismi di difesa dall’ansia, la capacità di tollerare l’ansia e di costruire reti sociali sono fortemente condizionati dalla presenza o meno di dimensioni traumatiche – continua lo psichiatra -. Frequentemente le depressioni post partum sono l’aspetto manifesto di conflitti non elaborati prima e durante la gravidanza. Assistiamo spesso ad una serie di esperienze traumatiche che poi giocano fatalmente nella relazione madre-bambino, bambino-mondo e così via“.
In questa condizione, lo psichiatra mette sotto accusa “individualismi stretti ed assenza di comunicazione profonda,” che in questi anni hanno portato ad “un incredibile incremento di traumi dello sviluppo“. Nel Dipartimento di salute mentale dove lavora, il medico ha spiegato che vengono accolte sempre più spesso “persone contemporaneamente giovani, povere, violente, dipendenti da sostanze e con sintomatologia psichiatrica florida, che alla base presentano un’alessitimia, ovvero una mancanza di capacità di mentalizzare le emozioni piuttosto marcata. La dimensione del non sentimento, della non immedesimazione, è uno dei grandi rischi della nostra meccanizzazione sociale, compreso il vissuto della gravidanza e dello sviluppo del minore“.
Lo psichiatra ha sottolineato l’importanza della promozione della salute mentale nel vissuto della gravidanza e allo stesso tempo ha denunciato la scarsità di finanziamenti destinati in Italia alla salute mentale.
La salute mentale di una persona si forma in 3 o 4 generazioni, spiega ancora il medico: “per fare una persona molto malata sono coinvolte almeno tre generazioni“. Tuttavia, i momenti come le nascite, le gravidanze, le morti e la scuola rappresentano “chiavi di maturazione” che possono portare alla elaborazione di un cambiamento profondo, “se ben accompagnate“.
Dunque, nulla è definitivamente compromesso a patto che si intervenga prontamente, creando “spazi di accoglienza nella persona“. Per una efficace promozione della salute mentale in gravidanza e per il superamento dei traumi è importante “prevedere la costruzione di una rete dialogante con le figure dell’ostetrico e del ginecologo, non per proporre uno psicologo della gravidanza, ma perché la dimensione della personalità autorevole sia colta anche negli aspetti psicopatologici della madre che emergeranno poi in età adulta nei figli“. Per fare tutto questo, però, serve un impiego di risorse umane e di mezzi oggi purtroppo insufficienti. L’intervento dello psichiatra Massimo Mari è stato pubblicato dall’agenzia Dire.
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