Il malato di Hiv che aveva contagiato di proposito le sue partner è stato condannato a 16 anni e 8 mesi di carcere.
Lo hanno definito “untore” perché ha contagiato di proposito la compagna e altri partner, tra donne e uomini, tramite rapporti sessuali non protetti, sapendo di avere il virus dell’Hiv, ma allo stesso tempo negando che potesse causare l’Aids. Tanto da impedire alla compagna di curarsi, anzi convincendola delle sue folli teorie. La donna, madre di una bambina, è morta di Aids, nel 2017. Lui è Claudio Pinti ed è stato appena condannato per omicidio volontario e lesioni gravissime.
Claudio Pinti, 36 anni, autotrasportatore di Montecarotto, in provincia di Ancona, malato di Hiv e definito “untore“, è stato condannato a 16 anni e 8 mesi di reclusione per aver contagiato volontariamente la compagna, morta nel 2017, la nuova fidanzata e decine di partner sessuali, uomini e donne, con cui aveva avuto rapporti non protetti.
Pinti, che è gravemente malato, crede nelle teorie “negazioniste” dell’Aids, quelle secondo cui il virus dell’Hiv non causerebbe l’Aids. Per questo motivo continua a rifiutare la terapia antiretrovirale, nonostante la malattia.
Di questa vicenda vi avevamo parlato un anno fa, quando nel giugno 2018 scoppiò il caso dell'”untore” dell’Hiv di Ancona, che aveva avuto rapporti non protetti con oltre 200 partner in tutta Italia, contagiando diverse persone. Il contagio più grave, tuttavia, è stato quello subito dalla compagna e madre di sua figlia, per fortuna la bambina non è stata contagiata. La giovane è morta nel giugno del 2017 di Aids, dopo essere stata convinta da Pinti a non curarsi, sempre secondo le folli teorie negazioniste sostenute dall’autotrasportatore. Oggi, grazie ai farmaci antiretrovirali non si muore più di Aids. Seguendo un preciso percorso terapeutico, il virus dell’Hiv è una malattia cronica che ci si porta dietro tutta la vita, ma che si tiene sotto controllo grazie ai farmaci. In questo modo si evita che l’Hiv si trasformi in Aids conclamato, questo sì mortale.
Dopo la morte della compagna, Claudio Pinti aveva iniziato a frequentare una donna di 40 anni, una nuova fidanzata alla quale non aveva detto di essere malato. Una relazione stabile che sulla base di un rapporto di fiducia aveva fatto accettare alla donna di avere rapporti sessuali non protetti. Purtroppo una fiducia mal riposta. A pochi mesi dall’inizio della relazione, la donna ha iniziato a stare male, all’inizio un banale mal di gola, che però non passava. Finché la quarantenne ha scoperto di avere il virus dell’Hiv, trasmessole dal compagno Claudio Pinti. La donna si è subito sottoposta alle cure necessarie, ma soprattutto si è rivolta ad un avvocato per denunciare l’ormai ex fidanzato. È stato grazie a lei che la vicenda di Claudio Pinti è diventata di dominio pubblico e si è venuti a conoscenza degli oltre 200 rapporti sessuali non protetti intrattenuti dall’autotrasportatore con donne e uomini in tutta Italia e di cui si è vantato con sfrontatezza davanti alla polizia al momento dell’arresto. Per via del suo lavoro, l’uomo viaggiava molto, inoltre era iscritto a siti e app di incontri, in cui individuava le proprie prede.
Quando il caso è esploso nel giugno del 2018, la polizia ha diffuso immediatamente le generalità e le foto di Pinti. Una misura necessaria per avvertire eventuali persone contagiate tra i partner sessuali avuti dell’uomo. In casi come questo, infatti, prevale l’interesse pubblico a tutela della salute collettiva e volto ad informare le persone che possano aver avuto rapporti con Pinti. Nei mesi scorsi, circa una decina di persone si sono fatte avanti per denunciare di essere state contagiate con il virus dell’Hiv da Claudio Pinti.
Una vicenda che ha lasciato sgomenta tutta Italia. In particolare per la morte della compagna di Pinti e madre di sua figlia. L’uomo non si è fatto scrupoli a contagiarla e quello che è ancora peggio le ha impedito di curarsi o l’ha convinta a non farlo, lasciandola morire. A quanto si apprende, pare che Claudio Pinti fosse sieropositivo da circa dieci anni.
Terminate la indagini, per Claudio Pinti si sono aperte le porte del tribunale, per il processo contro di lui. In questi giorni il malato di Hiv “untore” è stato condannato a 16 anni e 8 mesi di reclusione per omicidio volontario e lesioni gravissime. La sentenza è stata pronunciata dal Gup di Ancona, Paola Moscaroli, ed è stata emessa con il rito abbreviato, procedura che comporta automaticamente la riduzione di un terzo della pena che verrebbe comminata nel processo ordinario. La difesa di Pinti valuterà il ricorso in appello.
Il giudice, inoltre, ha riconosciuto alle parti lese della vicenda 525 mila euro di provvisionali di risarcimento, ma la quantificazione completa dei danni andrà fatta in sede civile. Le parti civili hanno chiesto complessivamente un risarcimento di 7,5 milioni di euro.
La notizia è stata data dal Fatto Quotidiano.
Pinti nel frattempo è gravemente malato ed è ricoverato in ospedale a Viterbo, dove era stato portato lo scorso dicembre a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni. Tuttavia continua a rifiutare la terapia specifica per la cura dell’Hiv. L’uomo si ostina a sostenere che l’Hiv non esiste.
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