L’età adulta arriva a 30 anni, secondo gli esperti di neuroscienze riunito ad Oxford.
Gli esperti di neuroscienze riuniti in convegno a Oxford hanno stabilito: si diventa adulti a 30 anni. Il cervello umano, infatti, continuerebbe a svilupparsi anche dopo i 18 anni. Una buona notizia per tutti gli eterni Peter Pan.
Età adulta arriva a 30 anni
Ragazzi in eterno. Secondo i neuroscienziati l’età adulta arriva a 30 anni, prima di questa età il cervello continua a svilupparsi e a cambiare, quindi si è ancora ragazzi anche dopo il raggiungimento della maggiore età, che in Italia e in gran parte del mondo è 18 anni. Sebbene c’è chi proponga addirittura di abbassarla a 16 anni, perché oggi i ragazzi maturerebbero in fretta. Se di questi i giovani sono più precoci di una volta, tuttavia non è detto che abbiano anche la maturità intellettiva ed emotiva per prendere decisioni pienamente consapevoli e che conoscano fino in fondo le conseguenze delle loro azioni. Sembrano averlo compreso gli scienziati che tendono a spostare in avanti il raggiungimento della maturità dell’età adulta.
Del resto, se si diventa anziani dopo i 75 anni, si può benissimo rimanere ragazzi fino a 30 anni. Una questione di proporzioni. Allungandosi la durata media della vita, la vecchiaia si sposta più avanti, così come l’età della maturità.
In ogni caso i neuroscienziati sembrano molto seri nelle loro conclusioni, basate su studi recenti.
Riuniti in questi giorni a Oxford, in un convegno presso la Academy of Medical Science, gli esperti di neuroscienze sostengono che si diventi adulti verso i 30 anni. Ci sono differenze a seconda delle persone, ma l’età all’incirca è questa. Lo sostengono nuovi studi scientifici.
Secondo le nuove ricerche, infatti, gli individui a 18 anni hanno ancora cambiamenti nel cervello che possono durare anni e influenzare il loro comportamento, rendendoli anche più propensi a sviluppare problemi di salute mentale. I processi che implicano un aumento della conduttività dei nervi, la costruzione di reti neurali e la “potatura” di connessioni indesiderate iniziano nel grembo materno e continuano per decenni.
Gli scienziati ritengono che una serie di sconvolgimenti nel cervello spieghino il comportamento notoriamente difficile degli adolescenti, ma questi sconvolgimenti non finiscono necessariamente quando le persone escono dall’adolescenza (come l’abbiamo conosciuta finora).
Peter Jones dell’Università di Cambridge spiega che è impossibile e “assurdo” stabilire un tempo preciso in cui si passa dall’infanzia all’età adulta, perché in realtà si verifica “una transizione molto più sfumata, che si svolge nell’arco di tre decenni“.
I sistemi che governano il nostro vivere in società, quello scolastico, quello sanitario e infine il sistema legale hanno bisogno di definizioni e di tracciare linee di confine, per quanto artificiali. Comunque, aggiunge Jones, i giudici valutano diversamente un imputato di 19 anni e un “criminale incallito” alla fine dei trent’anni. Dunque la differenza di età anche tra “adulti” conta e l’importante è valutare caso per caso. “Non c’è un’infanzia e non c’è un’età adulta – sottolinea lo Peter jones -: le persone sono su un percorso, su una traiettoria“.
Gli fa eco Daniel Geschwind, dell’Università della California di Los Angeles, che mette in evidenza il grado di variabilità individuale nello sviluppo del cervello, sostenendo che i sistemi educativi tendono erroneamente a concentrarsi sui gruppi, non sugli individui.
Che l’adolescenza si protragga negli anni non è del resto una novità secondo gli scienziati, già un anno fa vi avevamo segnalato uno studio pubblicato sulla rivista LancetChild & Adolescent Health, a cura di Susan Sawyer, direttore del Centro per la Salute degli Adolescenti presso il Royal Children’s Hospital di Melbourne, secondo il quale si è adolescenti fino a 24 anni.
Dunque le nuove ricerche non farebbero altro che confermare questa nuova tesi tra gli scienziati sul prolungamento dell’età dell’adolescenza.
Sul caso dell’età adulta che arriva a 30 anni ha scritto il quotidiano britannico The Independent.
Che ne pensate unimamme? Siete d’accordo con le conclusioni degli studiosi?