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Attualità

L’infermiera che ha salvato il neonato abbandonato: “vorrei adottarti” – FOTO

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Maria Sole Bosaia

L’infermiera che ha salvato Giorgio, il bimbo abbandonato vicino a un cimitero, gi ha scritto una lettera.

Unimamme, qualche giorno fa, il 24 Aprile, un neonato è stato trovato in un cassonetto a Rosolina, in provincia di Rovigo.

Neonato abbandonato: ecco la lettera dell’infermiera che l’ha trovato

Giorgia Cavallaro, l’infermiera che ha soccorso il piccolo e l’ha portato presso l’ospedale di Adria ha scritto una lettera al neonato, che porta il suo nome.

Caro Giorgio, l’altra notte non ho chiuso occhio pensando a te. Mi piacerebbe che un giorno lontano, quando sarai grande, qualcuno possa farti leggere questa lettera. Magari le stesse persone, la tua nuova mamma e il tuo nuovo papà, che nel frattempo avranno trovato le parole giuste per rivelarti com’è cominciata la tua vita con loro, circondato dall’amore che meriti e che qualcuno aveva deciso che non dovevi avere. Io posso solo raccontarti in che modo sei entrato nella mia, di vita, perché già so che non ne uscirai mai più.

È la storia del tuo primo giorno, che poi è anche la storia del nome che porti. Il mio nome. Ho 35 anni e lavoro come infermiera nel Pronto soccorso della Casa di cura Madonna della Salute, di Porto Viro. Sembrava una mattina come tutte le altre, scandita da piccole e grandi emergenze. Poi è arrivata quella telefonata: “C’è un bambino abbandonato davanti al cimitero di Rosolina, non si muove, è morto“. Sull’ambulanza siamo salite io e la dottoressa Anna Tarabini, mentre alla guida c’era Marco Marangon, che è partito a razzo. Dopo pochissimo è arrivata una seconda chiamata: “Il neonato piange“. È lì che abbiamo saputo che eri vivo.

Marco pareva un pilota di Formula 1, è stato formidabile: appena sei minuti dopo la prima telefonata eravamo di fronte al cimitero, con i carabinieri che nel frattempo avevano aperto quella sacca da tennis rossa. Ti avevano rinchiuso lì dentro, adagiandoti sopra una copertina bianca. La dottoressa ti ha portato nell’ambulanza e ti ha visitato. L’indice di Apgar, che misura i parametri vitali, ci ha detto che stavi bene: è lì che ho capito quanta forza possa starci in un corpicino così piccolo. Seguendo le indicazioni della dottoressa, che per prima si è presa cura di te, ti ho tagliato il cordone ombelicale. Avevi i piedini e le manine gelate, abbiamo alzato il riscaldamento al massimo. Mentre Marco ripartiva ti ho preso in braccio e ti ho posato al mio petto coprendoti con il lenzuolino sterile, una coperta, la mia maglietta, con qualunque cosa potesse restituirti un po’ di calore.

“Il suono delle sirene ti ha dato uno scrollone, ti sei messo a piangere. È lì che hai aperto gli occhi, mi hai guardata, ti ho fatto una carezza e immediatamente hai cercato di succhiare il dito. Avevi tanta fame. In dodici anni di servizio, non avevo mai provato delle emozioni così intense. Mentre ti scrivo, sei in ospedale dove hanno scelto di darti il mio nome. Le colleghe dicono che stai bene, che hai mangiato, che ce la farai a diventare grande, a dispetto di chi non voleva. Ho riflettuto su cosa possa spingere qualcuno ad abbandonare un neonato e non ho trovato risposta. Ma in fondo, l’unica cosa che conta è che presto avrai una mamma e un papà che ti vorranno bene. Ho anche pensato che quella mamma vorrei essere io, che non ho figli. Purtroppo so che non sarà possibile: l’iter per le adozioni è lungo e complicato e c’è qualcuno che ti sta aspettando da molto più tempo di me. Lo dimostrano le chiamate che sto ricevendo: persone che vogliono accoglierti, altre che si offrono di acquistare abiti e latte in polvere.

E allora, posso solo sperare di incontrarti di nuovo, in futuro. Sarebbe bello vedere come sei diventato. Ti auguro di essere felice. Di crescere sano, di conservare la forza che hai dimostrato di fronte a quel cimitero che dovrebbe servire a contenere i morti e che invece ci ha restituito una vita. Ma soprattutto, ti auguro di diventare un uomo con dei valori positivi, uno disposto a qualunque sacrificio per proteggere il proprio bambino. Ciao Giorgio”.

Nel corso di un’intervista con il Corriere l’infermiera ha dichiarato: “pensando a lui la prima immagine che mi viene in mente sono i suoi occhi spalancati quando Marco ha messo in moto l’ambulanza e sono partite le sirene. Quel suono l’ha come scrollato: mi ha fissato ed era come se mi leggesse dentro e mi chiedesse aiuto. E poi ricordo il pianto, che sembrava il miagolio di un gattino, è questo che non dimenticherò mai di Giorgio”.

La donna ha ricordato le condizioni in cui è stato trovato il piccino. Secondo le prime ipotesi era nato da circa mezz’ora. Aveva già le manine e i piedini gelati, se quelle due anziane non l’avessero trovato subito, nel giro di mezz’ora o poco più sarebbe sicuramente morto per ipotermia.

Sull’abbandono in quel modo di un neonato Giorgia commenta: “mi chiedo come si possa abbandonare il proprio figlio, ma non me la sento di condannare quella donna. Credo che fosse disperata e forse non sapeva che c’era la possibilità di partorire in ospedale, in tutta sicurezza, e in seguito non riconoscere il proprio bambino”.

Unimamme, cosa ne pensate della lettera riportata su Repubblica e delle parole dell’infermiera?

Maria Sole Bosaia

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