Parla un ragazzo che da bambino ha subito un trapianto.
Filippo Bargellini è un ragazzo milanese di 19 anni che studia alla Bocconi di Milano. Quando aveva un anno questo ragazzo, all’epoca bambino, è stato sottoposto a un trapianto molto particolare e innovativo che gli ha salvato la vita.
Filippo è nato con gli organi inversi e con una grave malformazione: l’atresia delle vie biliari.
“In pratica, il suo fegato produceva la bile ma non riusciva a trasferirla nell’intestino. Di conseguenza, a pochi mesi di vita aveva sviluppato una cirrosi precoce letale” ha spiegato il chirurgo che l’ha operato, Giorgio Rossi.
La sua unica speranza era un trapianto, ma i donatori di quell’età erano rari. Per fortuna, dal 1993, a Milano era stata provata una tecnica rivoluzionaria: lo split liver.
Il fegato di un donatore adulto viene diviso in sezioni, così può essere trapiantato una parte in un adulto e un’altra in un bambino.
“È un’operazione delicata, perché ogni sezione deve mantenere intatte le arterie e le vie biliari, per funzionare correttamente dopo il trapianto“.
Rossi è un medico all’avanguardia nel campo dei trapianti, nel 1983 era assistente nella sala operatoria dove è avvenuto il primo trapianto di fegato in Italia. Ora è direttore del centro trapianti del Policlinico e ordinario alla Statale di Milano.
Filippo ha poi condotto una vita normalissima, facendo sport e poi scoprendo una passione per l’economia.
“Io sono sempre stato benone. Fin da piccolo ho convissuto con la cicatrice che mi attraversa l’addome, ma non mi ha mai dato alcun fastidio, l’ho sempre vissuta come una parte di me. Mi sono abituato presto agli esami del sangue e alle visite di controllo ogni tre-quattro mesi, e a prendere due compresse di immunosoppressori al giorno”.
Se solo fosse nato 10 anni prima Filippo non sarebbe qui e senza lo split epatico sarebbe morto in attesa di un trapianto.
Consapevole della sua fortuna Filippo ha deciso di prendere parte al convegno di Liver-Pool, a cui l’ha invitato il dottor Rossi.
«Io mi sento in debito verso la scienza e guardo soprattutto al futuro. In questi tempi in cui va di moda mettere in dubbio le conquiste della medicina trovo doveroso raccontare la mia storia. Senza il trapianto oggi non sarei qui, ma altre migliaia di bambini non sarebbero qui se non fossero stati vaccinati”.
Infine ha aggiunto: “avere un organo trapiantato non è una cosa di cui vergognarsi. Anzi, è l’esatto contrario: io ne vado orgoglioso”.
All’inizio degli anni Ottanta in Europa si facevano 70 trapianti di fegato all’anno, ora 7 mila. Di 170 mila pazienti viventi trapiantati 12 mila sono italiani.
Al Policinico di Milano sono stati effettuati 1300 trapianti di fegato, di cui 160 pediatrici.
Unimamme, voi cosa ne pensate di questa bella testimonianza sui trapianti di cui si parla sul Corriere?
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