Il chiururgo Massimo Del Bene è l’uomo che cura le mani dei migranti che sono stati nei lager libici. Vuole aprire un centro per le vittime di guerra.
Nell’Ospedale San Gerardo di Monza c’è un medico che si occupa di aiutare i migranti, che sono scappati dai lager libici, a ricostruire le loro mani.
Storie di torture e violenze quelle che il dottore Massimo Del Bene affronta ogni giorno. Il suo obiettivo è quello di aprire a Monza un ospedale per accogliere le vittime di guerra, soprattutto i bambini.
Il dottore Massimo Del Bene è il direttore del reparto di Chirurgia plastica e della mano dell’Ospedale San Gerardo. É noto come il primo chirurgo per avere eseguito il primo doppio trapianto di mani.
Il chirurgo Massimo Del Bene si occupa anche di curare le mani ai migranti che sono scappati dai lager libici dove venivano torturati. Storie terribili, di violenza e crudeltà, come quella di Mohammed D., un ghanese che ad oggi vive a Como di 24 anni che, quando è arrivato in Italia, aveva le mani tagliate, strappate e rattrappite. La sua storia viene raccontata da il Corriere: “Vivevo nella zona occidentale del Ghana, una mamma già anziana, quattro fratelli. Non avevo nient’altro. Sono partito nel 2013 e dopo un mese sono entrato in Libia. Non sapevo che ne sarei uscito conciato così”. Mohammed ha trascorso un anno e mezzo a Sebha e poi a Tripoli: “Io non ero un criminale. Però mi hanno messo dentro. E picchiato, tutti i giorni. Le guardie libiche mi prendevano a pietrate le mani. Con un coltello di quelli che si usano per sgozzare gli animali, mi hanno tagliato la destra. Per lasciarmi andare, volevano che la mia famiglia pagasse. Mi sono salvato solo perché sono fuggito. Ho preso un barcone. Sono arrivato in Italia. E ho trovato il Dottore”.
Il chirurgo ha effettuato diversi interventi per ricostruire le mani di Mohammed. Interventi complessi, dite rifatte, cure di anni, ma piano piano la presa riprende: “È la chirurgia della tortura, traumi ripetuti che alla fine provocano invalidità. Una chirurgia ben diversa da quella legata agli incidenti. Io non la conoscevo: nei nostri ospedali, forse ne avevano ricordo solo i vecchi medici che avevano visto la Resistenza. In questi ultimi quattro anni, con l’arrivo dei migranti, mi sto facendo un’esperienza”.
Il chirurgo continua: “In questo reparto, noi siamo l’oggettività. Non abbiamo appartenenza politica: solo nomi, facce, dati, cartelle cliniche da mostrare. Storie che ci parlano di torture primordiali. È il Medio Evo che torna nella nostra civiltà. L’aggressività fatta uomo. Difficile da guardare, anche per un medico”.
Le torture che queste persone subiscono nei lager sono raccontate dalle foto che Del Bene conserva: ustioni causate da un ferro bollente, picchiati coi tubi di gomma, segni magari non si vedono come quelli causati dalle lame che hanno tagliato i tendini.
Il Dottore spiega che è difficile ricostruire le ferite causata da anni di torture: “Il punto è che noi interveniamo anni dopo la tortura. E ricostruire è più difficile. Quelli che vediamo tanto, sono i seviziati a martellate: hanno le dita sfondate una per una. È il modo più efficace per rovinare una persona. Se ti spacco le gambe, poi mi tocca accudirti. Se invece ti distruggo la mano, non ti tolgo l’autonomia, ma ti faccio fare lo stesso quel che voglio. Senza mani non guidi un camion, non scarichi una cassa, non servi a niente. Dipendi da me”.
A Monza non si curano solo le vittime degli aguzzini libici: “Abbiamo rifatto la mano d’un ivoriano di 18 anni che aveva provato ad attraversare d’inverno il Fréjus. Aveva perso tutte le dieci dita, congelate per salvare un amico nella neve. Ci capitano anche sudamericani, nigeriani o moldavi finiti in qualche vendetta, palestinesi colpiti a Gaza dai soldati israeliani”.
Del Bene sa che questo è un lavoro complicato, ma per fortuna ci sono persone che hanno deciso di fare del volontariato: “Molti medici, infermieri si offrono volontari. Vorrebbero andare a operare direttamente sui luoghi di queste tragedie. Ma è sempre difficile: servono ferie, aspettative… Il mio progetto allora è aprire qui, a Monza, un ospedale per curare tutti i bambini vittime di guerra. A costo quasi zero. Basato sull’offerta di chi ci sta”.
Voi unimamme conoscevate il chirurgo Massimo Del Bene? Cosa pensate del suo lavoro e del suo progetto futuro?
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