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Il kit stupro “me too” scatena reazioni diverse: molte le critiche – FOTO

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Maria Sole Bosaia

Madison Campbell, ventitrenne americana vittima di violenza sessuale, ha inventato un kit per raccogliere da sé le prove di uno stupro.

Madison Campbell è una ventitreenne vittima di violenza sessuale in un campus universitario.

Kit “me too” per raccogliere le prove in caso di violenza sessuale

Questa giovane donna ha deciso di reagire a quanto le era capitato inventando un Kit #metoo fatto di tamponi e buste per recuperare in autonomia le prove di uno stupro.

Un’azienda con sede a New York ha accolto la sua idea e ha messo in commercio il kit. Lo slogan è “La tua esperienza. Il tuo kit. La tua storia. La tua vita. La tua scelta“.

L’ideatrice di Vox Media ha commentato: “se io stessa dopo il mio attacco sessuale, non potevo nemmeno toccare, lasciare che qualcuno toccasse il mio corpo o mi consolasse, credo che abbia senso permettere alle vittime di non essere forzate ad andare in ospedale o alla polizia per farsi esaminare da sconosciuti, ma di poter avere il diritto di raccogliere prove nell’intimità della propria casa”.

L’iniziativa però non ha trovato il favore delle forze dell’ordine, degli avvocati, ecc…

Secondo il procuratore generale  Michigan Dana Nessel si tratta di un’idea assai poco edificante, che in realtà mira a sfruttare in termini economici il movimento #metoo. “Questa start-up  sta provando spudoratamente a raccogliere i benefici finanziari del movimento #MeToo incoraggiando le vittime a pensare che un kit di aggressione sessuale fatto in casa verrà utilizzato in tribunale. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. E per una buona ragione: esiste, infatti, un modo molto rigoroso e preciso per proteggere le prove e quando queste arrivano in tribunale, lo fanno sempre in modo corretto, attraverso mani fidate, senza essere mai state alternate in alcun modo.”

Non si tratta di un’unica voce fuori dal coro. La legale Monica Beck ha detto alla CNN: “Immaginate che cosa farebbero gli avvocati della difesa con le prove raccolte a casa, sarebbero in grado di smontare pezzo dopo pezzo un intero caso e lasciare impunito lo stupratore. Francamente, è abbastanza difficile per le sopravvissute a un assalto ottenere giustizia in questo modo, e questo rende le cose ancora più difficili”.

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Madison però non si arrende e crede fermamente nel suo kit, alle critiche di Nessel obietta: “più che a demolire senza sconti la mia idea, dovrebbe essere più interessata a creare un dialogo produttivo in cui io e i miei colleghi possiamo affrontare alcune delle preoccupazioni che lei stessa ha sollevato”.

Da una parte quindi l’iniziativa di Madison sottolinea l’esigenza di chi ha comprensibili difficoltà a sporgere denuncia dopo una violenza sessuale, dall’altra  mette in luce la complessità di questa pratica che deve essere svolta da esperti.

L’infermiera forense Julie Valentine ha dichiarato alla CNN: “alcune vittime credono di poter raccogliere prove da sole a casa, non solo raccolgono prove che non sono ammissibili o utili, ma non trarranno neppure supporto, aiuto e assistenza dal personale sanitario”.

Unimamme, voi cosa ne pensate di questo kit e delle reazioni suscitate e di quanto riportato su Vice?

Maria Sole Bosaia

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