Come si diventa bulli e quando, la spiegazione in uno studio scientifico.
Il fenomeno del bullismo è in continua crescita, soprattutto nelle scuole, l’ambiente privilegiato dove si manifestano prepotenze e atti di scherno. Qui i ragazzini più deboli e indifesi vengono presi di mira da uno o più compagni con dispetti, cattiverie, insulti e perfino aggressioni fisiche. Ma come si ferma il bullismo e soprattutto cosa si deve fare per prevenirlo?
Uno studio scientifico americano ha analizzato le dinamiche e le cause degli atti di aggressione, tra bambini o ragazzi, che vanno sotto il nome di bullismo. Un fenomeno da non sottovalutare perché può avere conseguenze negative per anni nelle vite delle vittime, ma anche in quelle dei carnefici. Cosa bisogna sapere e come intervenire.
Il bullismo tra bambini e ragazzi, inteso come insieme di azioni ed espressioni volte ad offendere l’altro, a schermirlo, sminuirlo, umiliarlo, isolarlo e perfino percuoterlo, non è lo stesso di un tempo, ma si è evoluto, diventando forse anche più cattivo.
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Se un tempo con il bullismo un ragazzino veniva escluso dal gruppo (di amici e o compagni di scuola), oggi gli atti prevaricatori che lo caratterizzano vengono compiuti soprattutto a scopo di divertimento, dunque per motivi futili e fini a se stessi, piuttosto che per realizzare un determinato scopo.
Come abbiamo visto dai recenti casi di cronaca, di cui vi abbiamo parlato anche noi, gli atti di bullismo sono purtroppo in aumento tra bambini e ragazzi. Per contrastare il fenomeno è fondamentale risalire alle sue origini e capire come si diventa bulli.
Il bullismo si manifesta nell’infanzia e ha una genesi complessa. La professoressa Dorothy Espelage, docente di educazione all’Università della Carolina del Nord ha spiegato: “Per un lungo tempo abbiamo pensato che ci fosse solo un tipo di bullo: un ragazzo molto aggressivo, con problemi di autostima che potevano derivare da una situazione di violenza in famiglia o dalla trascuratezza”.
Oggi, invece gli studiosi sanno che i bulli possono essere persone differenti, non solo chi vive situazioni di disagio familiare. I ricercatori universitari americani alla fine hanno adottato una definizione di bullismo che lo identifica con una forma di aggressione tra individui o gruppi con differenti livelli di potere. La differenza di potere tra bullizzante e bullizzato è decisiva. Può accadere che un ragazzo molto popolare a scuola o tra gli amici compia atti di bullismo nei confronti di un altro che non è popolare e quello che fa la differenza è proprio la differenza di potere/popolarità che rende difficile all’aggredito di difendersi.
Pertanto, se un contesto di violenza familiare rappresenta ancora un fattore di rischio per i bambini nel farli diventare dei bulli, tuttavia non è l’unico. Ad esempio, i bambini che crescono in famiglie violente, ma vanno a scuola, seguono un programma contro il bullismo e in genere frequentano un ambiente scolastico sano e che li sostiene non necessariamente diventano bulli.
La figura del bullo è diventata più sfumata nel corso degli anni. Comunque, si possono individuare sostanzialmente due tipi di bulli:
Quest’ultimo caso riguarda ragazzi con buone competenze sociali e popolari in classe, spesso vanno bene a scuola e sono stimati anche dagli insegnanti. Eppure, anche questi ragazzi possono trasformarsi in bulli e ricorrere al bullismo per raggiungere degli obiettivi, come quello si mantenere la posizione di leader.
Espelage spiega che “i bulli socialmente dominanti vogliono essere leader incontrastati del proprio gruppo… e il modo per mantenere questa posizione è spingere via gli altri bambini dalla scala gerarchica“. Anche questo è bullismo.
Inoltre, i ricercatori sottolineano che spesso il bullismo riguarda più il “carnefice” che non la vittima. A questo proposito, uno studio condotto sui bambini in Italia e in Spagna ha sottoposto i ragazzi ad un test in cui dovevano proporre una riflessione sul bullismo, ma avendoil punto di vista di un bullo.
I ricercatori hanno anche dato ai bambini un questionario sui loro coetanei per classificare ogni bambino come un bullo, una vittima o un estraneo. Quelli che venivano classificati come bulli avevano maggiori probabilità di rispondere all’ipotetico episodio di bullismo con affermazioni che riguardavano come l’incidente avesse influenzato il bullo stesso (dicendo: “Mi sentivo grande perché attiravo l’attenzione di altri bambini!” ) o dichiarazioni che mostravano una mancanza di empatia (come “Non mi sento in colpa perché non ci penso” e “Mi sentirei indifferente perché la vittima non soffre“).
Il bullismo si è evoluto negli ultimi anni, assumendo nuove forme e diventando un problema sempre più diffuso, ma anche complesso. Tra le caratteristiche principali delle nuove forme di bullismo c’è l’aggressione ripetuta nei confronti della vittima. Una forma di bullismo che è amplificata inoltre dal web, dove non c’è nemmeno bisogno che un atto di venga ripetuto più volte, perché rivolto ad una platea molto vasta.
Nel mondo virtuale si parla di cyberbullismo, sebbene questo fenomeno, con caratteristiche proprie, abbia molti elementi in comune con il bullismo scolastico, tanto che ormai vengono considerati insieme, come un unico tipo di comportamento sociale aggressivo. Calli Tzani-Pepelasi, docente di psicologia investigativa all’Università di Huddersfield, ha osservato che “i bambini che si comportano da bulli a scuola spesso continuano a molestare le potenziali vittime anche nel mondo virtuale“.
L’altro legame è quello tra bullismo e abusi sessuali. Nel 2014 Dorothy Espelage, in collaborazione a un team di ricercatori, ha pubblicato uno studio di cinque anni nel quale si mostra una relazione preoccupante tra bullismo e molestie sessuali. Dallo studio è emerso che il bullismo tra i bambini più piccoli spesso comporta insulti omofobi. Una situazione che in futuro potrebbe portare al compimento di molestie sessuali. “Il filo rosso di aggressività che congiunge il bullismo all’insulto omofobico prima e alla violenza sessuale poi è reale“, ha spiegato Espelage.
Il problema dunque è vasto e va affrontato su più fronti, quello familiare e quello scolastico, con l’ascolto dei bambini o ragazzi bulli, cercando di capire la motivazione dei loro comportamenti aggressivi, e soprattutto con programmi dedicati a scuola. Diverse sono le soluzioni segnalate insieme alla ricerca da Agi.
Che ne pensate unimamme? Siete preoccupate per il bullismo?
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