Una mamma ha denunciato le minacce subite in occasione della seconda maternità, ma la situazione di tante altre mamme è altrettanto tragica.
Unimamme, sappiamo che, purtroppo, la maternità, dal punto di vista lavorativo è molto difficile per le mamme italiane.
Di recente una vicenda riportata sul Corriere ha rilanciato l’argomento. La protagonista si chiama Chiara e per 15 anni aveva lavorato nella stessa azienda, avendo anche un primo figlio nel frattempo e senza alcun problema. Nell’azienda c’è stato un cambio ai vertici e quando la donna ha comunicato la nuova gravidanza nei termini previsti il titolare le ha risposto così: “Dovevi dirmelo già quando tu e il tuo compagno avete deciso di avere un altro bambino».
Quando la mamma ha obiettato che nei primi 3 mesi possono succedere tante cose lui ha risposto: P”erché, se lo avessi perso non me lo avresti detto?».
Dopo la gravidanza la donna ha iniziato a subire vessazioni di ogni tipo. “Appena tornata al lavoro, sono stata demansionata. Mentre ero in maternità hanno assunto una persona a tempo indeterminato per sostituirmi e un consulente dell’azienda mi aveva proposto dimissioni incentivate con una buona uscita. Mi ha detto: “Ti conviene accettare l’offerta, se rientri al lavoro ti faranno morire”.
“Tornata al lavoro dopo la maternità, non sono stata ricevuta dai dirigenti dell’azienda ma da un consulente, che mi aveva comunicato il riposizionamento. Ero responsabile di reparto, mi sono ritrovata a fare fotocopie, rispondere al citofono ma non al telefono, archiviare fascicoli e distruggere documenti. Nel mio pc non c’è la posta elettronica, vengo esclusa dalle riunioni e tutti mi ignorano. Avevano addirittura cambiato il cancello elettrico e solo a me non era stato consegnato il telecomando. Anche i colleghi avevano iniziato ad attaccarmi, facendo osservazioni su presunti errori».
La donna si è rivolta alla Cgl per avere giustizia. Nel frattempo la sua storia ha messo in luce una situazione vissuta e subita da tante altre mamme.
Nel 2018 l’Ispettorato nazionale del lavoro ha registrato 49 mila dimissioni o risoluzioni di contratto di lavoratrici, madri e padri lavoratori.
Ci sono sì casi di mobbing, ma anche scelte personali e resa davanti a difficoltà oggettive.
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Si tratta di cifre in crescita del 24% rispetto al 2017. Prendendo in considerazione la sola Lombardia. Nel 2018 sono stati chiusi più di 10 mila rapporti di lavoro durante la maternità. (Un migliaio in più del 2017) a cui si aggiugono 3 mila per i neo papà.
Le piccole imprese sono realtà dove ci sono più casi.
Elena Bettoni, esponsabile del Centro donna della camera del lavoro, ne parla sul Corriere: “purtroppo la realtà è veramente vicina a quella raccontata da Chiara. Almeno il 50 per cento dei casi di discriminazione sul lavoro che mi vengono sottoposti riguardano il periodo della maternità. E se anche c’è un aumento della consapevolezza circa i propri diritti, le denunce restano spesso frenate dalla paura».
L’esperta aggiunge: “prima della maternità sono dipendenti senza macchia, magari anche apprezzate e in carriera, poi, magari già all’annuncio della gravidanza, cambia tutto e diventano bersagli di richiami, lamentele e gli avanzamenti di carriera spariscono dall’orizzonte”.
Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano, si esprime sulla questione. “I contratti tutelano tutti i lavoratori e devono essere rispettati. Abbiamo anche sottoscritto con il Comune il protocollo per il lavoro agile. Se tra i nostri 42 mila iscritti qualcuno si comporta in quel modo non ha scusanti: lo condanniamo senza mezzi termini, e non soltanto come imprenditore”.
Marco Accornero segretario generale dell’Unione artigiani, è di un altro parere: “nel nostro mondo sono davvero poche le vertenze di questo tipo, forse anche perché in molti casi, dalle acconciature all’estetica e alla bigiotteria, le donne lavorano in imprese tutte al femminile, dove c’è più comprensione. Ma ci sono anche casi di vertenze strumentali, magari nate da forzature di frasi soltanto infelici”.
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