Una ricercatrice italiana, Luisa Guerrini, ha scoperto come il talidomide causa malformazioni fetali.
Una ricercatrice italiana, Luisa Guerrini, ha fatto un’importante scoperta sul talidomide.
La Guerrini, professore associato di biologia molecolare all’Università Statale di Milano, è riuscita a provare il meccanismo molecolare con cui il talidomide causa le malformazioni fetali che hanno portato al ritiro dal commercio 60 anni fa. Ma prima di continuare con la scoperta della nostra connazionale che ha lavorato per 18 anni senza fondi collaborando con l’Istituto di tecnologia di Tokyo e la Tokyo Medical University, dobbiamo parlare di cosa sia il talidomide.
Negli anni Cinquanta in Germania il talidomide veniva presentato come un sicurissimo sedativo e venduto come farmaco da banco, dalle proprietà ipnotiche e tranquillanti. Alle donne in gravidanza veniva consigliato per combattere le nausee mattutine. A seguito del suo uso però moltissimi bambini sono nati senza braccia, mani, gambe, con danni agli organi interni. Si stima che ci siano stati 20 mila persone nate con questi gravi problemi in 24 Paesi, 350 – 400 in Italia (senza contare gli aborti spontanei e i bimbi nati morti).
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Questo studio è doppiamente importante perché faciliterà gli indennizzi per le persone che hanno risentito degli effetti del talidomide e inoltre contribuirà ad aprire nuove terapie per il cancro. Guerrini ha dichiarato ad Ansa: “stavo studiando da tempo la proteina p63, le cui mutazioni causano cinque rare sindromi umane caratterizzate da malformazioni agli arti, al palato, al cuore e alla pelle, quando all’improvviso ho realizzato che questi sintomi erano del tutto sovrapponibili a quelli dei bambini talidomidici. L’idea iniziale è stata quindi che il talidomide potesse aver agito durante lo sviluppo embrionale sulla proteina p63, che sapevamo essere cruciale per la formazione di arti, palato, pelle e cuore»“. Nello studio si è usato lo zebrafish come modello (perché piuttosto simile agli umani). I risultati hanno dimostrato che la degradazione di p63 attraversa la molecola cerebron: il talidomite aumenta l’interazione di cerebron con p63 provocandone la degradazione e i danni alle pinne (corrispondenti agli arti) e alle vescicole otiche (le orecchie). Aumentando invece i livelli di p63 negli embrioni di zebrafish trattati con talidomite si riesce a recuperare il normale sviluppo delle pinne e della vescicola otica.
La ricercatrice specifica: “Questo studio sarà sicuramente utile nel dirimere le richieste di indennizzo delle vittime del talidomide, perché dimostra che il farmaco non agisce sul Dna, ma ha solo un effetto transitorio a livello della proteina p63“. La studiosa fa parte del comitato scientifico dell’associazione Vittime Italiane Talidomide (Vita).
“Se il sequenziamento del gene p63 rivelasse che è normale e non mutato, significherebbe che le malformazioni sono state causate a valle del Dna dall’azione del farmaco”. La recente scoperta potrà avere inoltre effetti positivi sulla cura per il cancro.
“Sappiamo che una particolare forma della proteina p63 è espressa in eccesso in alcuni tumori, per esempio nel carcinoma a cellule squamose testa-collo e nell’ovaio: in futuro si potranno quindi sviluppare nuovi farmaci mirati su p63, privi dell’effetto teratogeno del talidomide e con solo l’attività antitumorale”.
Attualmente il talidomide viene usato in Brasile per curare la lebbra e dove dal 2000 ci sono stati numerosi casi di bambini malformati.
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