Una coppia ha dovuto affrontare la notizia che il figlio appena nato poteva avere una malattia genetica rara.
Unimamme, vi raccontiamo la vicenda di una coppia e di una mamma, in particolare, Cassie Ellis, che ha scoperto al momento del parto che il secondo figlio poteva avere una malattia genetica rara.
La gravidanza era andata avanti senza intoppi e tutti gli esami li rassicuravano sulle condizioni del bimbo che Cassie portava in grembo. “La mia più grande preoccupazione era su come avremmo fatto a gestire 2 bimbi così vicini d’età.” Il figlio primogenito infatti avrebbe avuto 17 mesi alla nascita del fratellino. Il 24 giugno del 2018 Cassie è arrivata al Birthday Center con le acque rotte. “Sognavamo di vedere crescere il rapporto tra i nostri due figli, di vedere il nostro primogenito diventare fratello maggiore. Avevamo una lista di nomi ma non riuscivamo a sceglierne uno, così abbiamo deciso di dargliene uno non appena l’avessimo incontrato.”
Le ostetriche e la doula, che era la migliore amica di Cassie, si sono accorte che c’era qualcosa che non andava. “Sembrava diverso. I suoi segni vitali erano stati controllati e sembrava stare bene, così siamo stati spostati in un letto per stare con il bambino. Solo dopo ho scoperto che le ostetriche erano in un’altra stanza a decidere cosa fare. L’ostetrica capo ha detto: “i suoi segni vitali sono a posto, non c’è bisogno di andare di fretta. Potrebbero non poterlo fare mai più mentre tengono in braccio il loro bambino in questo modo. Mentre scrivo questo il mio cuore è straziato, il cuore mi fa male con sincera gratitudine per la loro compassione, preveggenza, empatia. Quel piccolo atto è qualcosa che non potremo mai ripagare. Se avessi partorito in ospedale me l’avrebbero tolto subito. Il mio cuore è straziato dal dolore, ma non potevo prevedere ciò che sarebbe successo, ma quelle poche ore trascorse sul letto con lui sono state qualcosa a cui mi sono aggrappata nelle settimane seguenti.” Le ostetriche hanno lasciato la mamma e il papà di Asa (questo era il nome scelto) insieme al bambino per qualche ora. Poi è arrivato il momento di fare la valutazione del neonato. “Quello è stato il momento in cui mi sono svegliata nella realtà in cui c’era qualcosa che non andava. Dalla testa ai piedi continuavano a sottolineare anormalità dopo anormalità. Tutti abbiamo deciso che Asa andava visto da specialisti prima di andare a casa e così le ostetriche ci hanno accompagnato.”.
“Io ero ingenua e pensavo che sarebbe stata una sosta veloce prima di andare a casa e permettere al nostro bimbo di incontrare il suo fratellino. Mio marito, invece, sapeva. Mentre parlavamo con calma in quel viaggio in auto illuminato dalla luna mi ha detto qualcosa che non dimenticherò mai “se a qualcuno dovesse essere affidato un bambino con bisogni speciali quella persona saresti tu, hai la grazia e la pazienza per farlo”. Cassie e il marito sono rimasti nel reparto di terapia intensiva neonatale per 50 giorni. Gli specialisti parlavano di Trisomia 18 “Onestamente era la prima volta che ne sentivo parlare. La dottoressa è andata dritta al punto. Nel modo più sincero e sentito ci ha detto che le aspettative di vita erano molto brevi dal momento che questa sindrome era incompatibile con la vita. Come ci ha detto questo si è inginocchiata con una mano su entrambe le nostre ginocchia, noi abbiamo iniziato a piangere e lei a scusarsi.”
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Una settimana dopo sono arrivati i risultati secondo i quali il figlio non aveva nessuna sindrome o anomalia cromosomica. Asa aveva la Saethre-Chotzen Syndrome che era associata con la craniostenosi (la prematura fusione delle ossa del cervello). Il caso di Asa era molto grave. Aveva l’ipoplasia su metà volto, una leggera palatoschisi, una fronte incassata, un grande buco nel cuore, invalidità alla vista, una moderata perdita dell’udito, craniosinostosi, l’apnea ostruttiva del sonno. Asa doveva affrontare anche due operazioni in pochi mesi e altre durante l’infanzia. “Da una parte stiamo ancora processando ciò che abbiamo affrontato in questi 8 mesi, che include traumi e delusione. Alcuni giorni mi pare di sopravvivere attraverso la spossatezza di notti senza sonno, appuntamenti e domande infinite. Dall’altra, la mano più grande, sono colma di gioia sapendo che siamo stati inclusi in un club di elite di cui non tutti hanno l’opportunità di entrare a far parte. Questo è il privilegio di occuparsi e di amare Asa. Non sappiamo cosa abbia in serbo per lui il futuro, ma sappiamo che saremo molto felici per tutto il percorso. Il mio obiettivo, dall’inizio, è stato di essere vulnerabile attraverso questo viaggio. Per consentire agli altri di testimoniare in cosa stiamo camminando. Spero che le persone vedano accettazione, amore, gioia, ma spero che vedano anche grazia. Che il viaggio nel quale siamo tutti può essere entrambe le cose: duro e buono. La parte dura non significa che manchi il buono, rende la parte buono migliore. Asa è stato chiamato così per un re dell’Antico Testamento conosciuto per aver riportato la sua gente al vero cuore dell’adorazione. Spero che le persone vedano dalla nostra storia che Dio è degno ed è Buono, sia che le circostanze immediate ce lo dicano o no”.
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