Sono tantissimi i bambini che vengono detenuti nei campi in Siria perchè portati dai genitori che si vogliono affiliare all’Isis. I numeri dell’Unicef.
E’ di ieri la bellissima notizia che un bambino si 11 anni, Alvin Berisha, è ritornato in Italia dopo che la madre, sei anni fa, l’aveva portato in Siria. La donna, di origini albanesi, dopo essersi radicalizzata ha deciso di partire per la Siria per unirsi all’Isis ed ha portato il figlio di sei anni con lei senza il volere del padre. Purtroppo, in un combattimento, la donna è morta ed Alvin è stato portato nella cosiddetta “area degli orfani” del campo di Al Holl, sempre in Siria.
Nel campo dove si trovava Alvin c’erano altre 70.000 persone, in prevalenza compagne e figli di combattenti jihadisti in prigione. Quella di Alvin è una storia drammatica, ma che per fortuna è a lieto fine, oggi Alvin è finalmente tornato in Italia e potrà riabbracciare il padre che non vede da 5 lunghi anni che lo attende a Barzago (Lecco) dove Alvin è nato.
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Purtroppo in questi campi ci sono tanti bambini che vivono in condizioni disperate, come confermato dal direttore esecutivo dell’Unicef, Henrietta Fore: “Le condizioni dei bambini dei campi come Al Hol sono preoccupanti”. La direttrice è in ansia per la situazione disastrosa, nella quale i bambini sono costretti a vivere e sono minacciati per il “loro benessere, la loro salute e la loro sicurezza”.
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I dati dell’Unicef sono terribili, si stima che in Siria ci sarebbero 28mila bambini stranieri. Oltre l’80% di questi bambini hanno meno di 12 anni e il 50% meno di 5. Di questi bambini circa 20mila sarebbero di nazionalità irachena e 9mila proverrebbero da circa 60 Paesi. Come riportato da Huffpost, a questi minori si aggiungono circa mille bambini, figli di foreign fighter, che si ritiene vivano in Iraq. Di questi bambini molti, soprattutto maschi, sono stati costretti ad unirsi ai gruppi armati. Altri sono nati nel territorio siriano o sono arrivati in seguito con i genitori. Tutto loro sono “vittime di circostanze tragiche e della violazione dei loro diritti e devono essere trattati come bambini”. Per chi vuole ritornare nel proprio Paese è quasi impossibile. L’Unicef ha dichiarato che almeno 17 paesi hanno già fatto ritornare oltre 650 bambini, la maggior parte dei quali stanno attualmente vivendo con membri della propria famiglia, in alcuni casi anche con le loro madri, che sono ritornate con loro. I bambini sono al sicuro, frequentano la scuola e si stanno riprendendo dalle loro esperienze di guerra.
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Il responsabile per i diritti dell’infanzia di Human Rights Watch, Jo Becker, ha affermato: “I bambini accusati di affiliazione all’Isis sono detenuti, spesso torturati e perseguiti, ignorando il loro reale livello di coinvolgimento nel gruppo. Questo approccio radicale punitivo provocherà conseguenze negative per tutta la vita per molti di quei bambini”. Per la psicologa Binan Kayyali si tratta di un grave problema: “Si tratta di bambini e ragazzi guardati con diffidenza, tacciati di essere figli dell’Isis o figli del peccato, e per questo abbandonati dalle proprie famiglie. Così anche le loro madri. Discriminati ed emarginati hanno bisogno di tutto, acqua, medicine, istruzione, supporto psicologico e soprattutto di un nome e di un futuro”.
Quando i bambini tornano nel loro Paese, le famiglie hanno difficoltà ad riadattarli ad una vita normale. Molti, nonostante varie terapie, hanno continuato a mostrare segni dei traumi subiti in Siria e in Iraq. Ad esempio, Hadizha, ad 8 anni è stata trovata in una strada a Mosul con diverse bruciature sul corpo. La nonna l’ha riconosciuta ed è stata riportata in Cecenia dove è nata. La nonna ha poi raccontato che la nipotina si è salvata alzando le mani e gridando in arabo “non sparate”, ma che passa molto tempo raggomitolata sul divano della casa della nonna, “con gli occhi distanti e arrabbiati” mentre guarda i cartoni animati in televisione.
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