Bus dirottato a Crema, le testimonianze dei bambini ancora traumatizzati dopo mesi dal fallito attentato.
A quasi un anno di distanza dal dirottamento dell’autobus di studenti a Crema, in Lombardia, nel tentativo da parte dell’autista di compiere un attentato, sventato grazie al sangue freddo di alcuni studenti, i bambini che si trovavano a bordo del mezzo soffrono ancora di sindrome da stress post traumatico, come hanno raccontato i loro genitori. Sono le testimonianze che i genitori e gli insegnanti degli studenti stanno rilasciando nell’aula di tribunale dove è in corso il processo nei confronti di Oussenynou Sy, l’autista di origine senegalese del bus che attentò alla vita dei ragazzi.
Era il 20 marzo di quest’anno quando un normale spostamento in autobus di ragazzini di scuola media si trasformò in un incubo. L’autobus trasportava 51 bambini della scuola media Vailati di Crema e alla guida c’era Oussenynou Sy, 47 anni, di origine senegalese, con precedenti. L’autista dirottò il mezzo, dirigendosi verso l’aeroporto di Linate e minacciando tutti gli studenti e gli insegnanti a bordo. Si fermò nella zona di San Donato Milanese, poi sequestrò a tutti i passeggeri i telefoni cellulari, legò i loro polsi con delle fascette da elettricista e poi cosparse di benzina l’autobus con l’intento di dargli fuoco.
La tragedia fu evitata, grazie al sangue freddo di tre ragazzini, Ramy, Adam e Riccardo, che riuscirono a salvare i compagni, nascondendo i cellulari, prima che gli venissero sequestrati, e poi chiamando di nascosto i carabinieri e le loro famiglie per chiedere aiuto. Subito scattò l’allarme e l’intervento delle forze dell’ordine scongiurò il peggio. Bambini e insegnanti riuscirono ad abbandonare l’autobus mentre stava prendendo fuoco, con i carabinieri che li aiutarono a uscire dai finestrini posteriori. L’allarme dato in tempo tra i tre studenti fu provvidenziale. I tre piccoli eroi, Riccardo, italiano, Ramy egiziano e Adam, marocchino, furono ricevuti in caserma dai carabinieri con tutti gli onori. Il gesto eroico, poi, è valso ai due ragazzini di origine straniera la concessione della cittadinanza italiana.
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A distanza di tanti mesi, tuttavia, l’incubo per i bambini vittima del sequestro è ancora vivo. Molti degli studenti soffrono ancora di disturbi da stress post traumatico e hanno reazioni di paura e panico nelle situazioni che gli fanno ricordare quel terribile giorno di marzo. Sono i loro genitori a raccontarlo, in particolare durante le testimonianze, che si stanno svolgendo in questi giorni, nel processo contro l’autista Oussenynou Sy in corso davanti alla Corte d’Assise di Milano.
La mamma di una ragazzina che il 20 marzo era sull’autobus dirottato ha raccontato in aula che mentre stava facendo l’albero di Natale a casa, qualche giorno fa, le era caduta una fascetta da elettricista. La figlia l’ha presa, ha detto alla madre “con questa sono stata legata” ed è scoppiata a piangere. La donna ha anche raccontato che nei giorni successivi al fallito attentato, la figlia era molto agitata e nervosa “Se uscivamo stava attenta a tutto quello che la circondava, e se incontrava uomini mi faceva cambiare direzione“. La donna ha aggiunto che la figlia è disturbata dalla visione dei coltelli e in famiglia, anche se stanno bene, devono continuare a usare qualche precauzione in più su tutto quello che li circonda.
Un’altra mamma ha detto che la figlia soffre di ansia e disturbi durante la notte e quando sente la puzza di benzina ha subito conati di vomito “si intristisce”. Evidenti disturbi da stress post traumatico, ma per la ragazzina non ha mai voluto parlare con degli psicoterapeuti.
Nell’aula di tribunale sono stati ascoltati i genitori dei bambini che erano quell’autobus quel giorno. Mentre non è stato necessario ascoltare di nuovo le vittime. I ragazzini, infatti, erano stati già ascoltati durante le indagini, con le loro testimonianza messe a verbale dagli investigatori, e la Procura ha deciso è sufficiente acquisire acquisire questi verbali nel dibattimento, senza obbligarli a testimoniare di nuovo in aula, perché “per loro sarebbe un massacro psicologico, come ha sottolineato il pm capo del pool antiterrorismo di Milano, Alberto Nobili.
Il giorno del dirottamento e fallito attentato, Ousseynou Sy, che nel processo è accusato di sequestro di persona, tentata strage e incendio, costrinse la bidella che era sul bus a legare i polsi dei ragazzini usando fascette di plastica da elettricista. La donna, come ha raccontato, lasciò di proposito le fascette un po’ lente, in modo che i ragazzi potessero liberarsi. Poi, secondo la ricostruzione dei fatti, ebbe l’ordine di sequestrare tutti i telefonini, ma con gli sguardi riuscì a far capire ad alcuni ragazzini che erano in fondo all’autobus di tenerli. Grazie a questa prontezza della bidella, i ragazzini riuscirono ad allertare le forze dell’ordine.
La notizia delle testimonianze dei genitori dei bambini dell’autobus dirottato è riportata dal Corriere della Sera.
Che dire unimamme? Ci vorrà ancora del tempo prima che il trauma passi, siete d’accordo?
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