Le ragazze investite a Roma sono state incaute, mentre il guidatore imprudente secondo il Gip.
Ieri si sono svolti i funerali di Gaia e Camilla, le due giovani amiche romane investite e uccise nella zona di Ponte Milvio dal Suv guidato da un giovane di 20 anni risultato positivo all’alcol test.
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Secondo il gip di Roma Bernadette Nicotra che ha disposto gli arresti domiciliari per Pietro Genovese, il figlio ventenne del regista Paolo Genovese, il giovane guidava con “imprudenza e imperizia” e “teneva una velocità superiore al limite consentito di 50 km/h.” Il giovane aveva tracce di droga nel sangue, questo però non dimostra che Genovese stesse guidando sotto l’effetto di queste sostanze. Il gip di Roma ha quindi escluso l’aggravante dell’alterazione psicofisica dovuta alle sostanze stupefacenti. Come forse già saprete, dagli esami è risultato che l’autista aveva un tasso alcolemico di 1.4.
Il giudice che si occupa del caso ha commentato: “le sostanze stupefacenti riscontrate sebbene presenti ben potevano essere state assunte dal Genovese in epoca precedente”. Inoltre Genovese “guidava senza tener conto delle condizioni della strada e del traffico così da non poter arrestare tempestivamente il veicolo a fronte di un ostacolo prevedibile“.
Sempre il gip ha riconosciuto una parte di colpa a Gaia e Camilla, le studentesse romane uccise, perché “dal canto loro hanno attraversato la strada col semaforo rosso, tenendo una “condotta vietata, incautamente spericolata, così concorrendo alla causazione del sinistro mortale”. Il giudice ha infatti tenuto conto della condotta dei singoli individui “per accertarne le responsabilità, determinare l’efficienza causale di ciascuna eventuale colpa concorrente”. Nell’ordinanza si legge: “alla luce di quanto accertato in questa prima fase le due ragazze, in ora notturna, in zona scarsamente illuminata e con pioggia in atto” stavano “attraversando la carreggiata, scavalcando il guard rail, nel momento in cui il semaforo era fermo sulla luce rossa per i pedoni“. Nella tragedia ha avuto un ruolo anche l’illuminazione insufficiente, c’è da tenere in considerazione che “una velocità prudenziale e una condizione di sobrietà in rapporto alla prossimità di un attraversamento semaforico, all’insistenza di un affollato agglomerato urbano, di locali notturni assai frequentati soprattutto di sabato sera, di un asfalto bagnato per causa della pioggia, di una scarsa visibilità per causa di illuminazione ‘colposamente’ insufficiente, avrebbe, con ogni probabilità, permesso all’indagato di meglio controllare il veicolo mettendo in atto manovre di emergenza per arrestarlo davanti a ostacoli prevedibili”.“
Pietro Genovese, al momento è ai domiciliari in casa sua, a Roma. Il ragazzo si era “messo alla guida dell’autovettura nonostante avesse assunto bevande alcoliche e nonostante in passato gli fosse stata già ritirata la patente di guida per violazioni del codice della strada“. Nicotra, nel provvedimento, ha sottolineato che questo comportamento “dimostra noncuranza, se non addirittura disprezzo verso i provvedimenti e i moniti dell’autorità amministrativa e di pubblica sicurezza ed è sintomo di una personalità incline alla violazione delle regole“. Sono stati disposti i domiciliari perché “sussiste l’esigenza cautelare per il concreto pericolo di reiterazione della condotta criminosa”. La personalità dell’indagato lascia ragionevolmente presumere che il medesimo non si scoraggi dall’usare comunque l’automobile per il solo fatto dell’avere avuta ritirata la patente di guida. Sicché allo stato al fine di neutralizzare il pericolo concreto ed attuale di reiterazione di condotte analoghe appare necessario limitare la libertà di movimento di Genovese, il quale sebbene incensurato e di età giovane potrebbe mettersi alla guida di autovetture di amici o conoscenti anche senza patente e porre in essere condotte gravemente colpose in violazione delle norme della circolazione stradale compromettendo così la propria e l’altrui incolumità”.
È delle ultime ore, infine, la testimonianza di un imprenditore al Messaggero, secondo il quale i giovani attraversano col rosso in mezzo al traffico a causa di un gioco, una moda. Un amico di Pietro Genovese, presente in auto, ha raccontato: “non andavamo forte ma era impossibile evitare le ragazze”.
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L’imprenditore ha detto: “lo chiamano il giochino del semaforo rosso e quando mia figlia e la sua amichetta me lo hanno spiegato dopo la morte di Camilla e Gaia, mi sono venuti i brividi“. Si attraversano le due carreggiate di corso Francia mentre per i pedoni è rosso e per le auto verde. “Lo fanno per farsi grandi riprendendosi anche con gli smartphone, creando storie sui social che poi si cancellano nel giro delle 24 ore” assicura M.L., piccolo imprenditore 43enne.
Anche un’amica delle ragazze, Cecilia, ha aggiunto: “Sì, anche io ho attraversato Corso Francia di notte, correndo, fuori dalle strisce pedonali e con il semaforo verde per le auto. Rischiando la vita. Prendi la rincorsa, scavalchi il guardrail e corri più veloce che puoi dall’altra parte”. E questo anche se pochi metri più avanti ci sono le strisce e un semaforo che possono far attraversare in tutta sicurezza. E allora perché farlo? “Forse perché abbiamo sedici anni? Per fare più in fretta a raggiungere i tuoi amici, per non fare tardi sulla via del ritorno a casa. O forse e lo so che è stupido, perché è divertente. Pensi sempre che se guardi bene a destra e a sinistra e corri forte dall’altra parte ci arriverai”. L’adolescente ha negato però l’esistenza di un gioco.
Unimamme, cosa ne pensate di questi ultimi sviluppi riportati su Roma TodaY?
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