Il professore che ha accolto i profughi in casa: “I miei ragazzi ce l’hanno fatta”. Dopo quattro anni i sei giovani profughi ospitati a Treviso da Antonio Silvio Calò sono indipendenti.
Quattro anni fa aveva accolto in casa sei giovani profughi africani, arrivati in Italia con gli sbarchi sulle coste siciliane. Un professore di liceo di Treviso, Antonio Silvio Calò, aveva suscitato scalpore, insieme ad ammirazione, e ora quell’esperienza si è conclusa, positivamente. I sei ragazzi ospitati hanno concluso ognuno un percorso di studio e formazione. Ora hanno un lavoro e hanno trovato casa. Ognuno di loro è diventato autonomo. Ecco la loro storia.
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La solidarietà può essere forte più di qualsiasi ostacolo e abbattere muri fisici e mentali che sembravano insuperabili, realizzando risultati straordinari. A volte basta poco, ma quel poco è carico di significati e richiede un salto in avanti che in pochi sono disposti a fare o sono in grado di fare. È il caso di Antonio Silvio Calò, il professore di Povegliano, in provincia di Treviso, che nel 2015 era finito su tutti i giornali per aver accolto in casa sei giovani profughi africani, arrivati in Italia con i barconi. Quel “portateli a casa tua” lui lo aveva messo in pratica. Insieme alla moglie e ai quattro figli, in una famiglia già numerosa, Calò aveva dato un tetto sotto a cui dormire e soprattutto il calore di una famiglia ai sei giovani profughi. Una decisione che purtroppo lo aveva reso bersaglio di insulti e attacchi personali. Come sempre accade quando si tratta di questioni di profughi e migranti. Allo stesso tempo, però, il professore e la sua famiglia hanno avuto anche molte soddisfazioni, ben più delle esperienze negative, a cominciare dal vivere tutti i giorni a contatto con chi viene da un Paese lontano e ha una cultura differente, in uno scambio reciproco e arricchente.
Nel frattempo, Antonio Calò ha ricevuto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella il titolo di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana “per l’esempio di civiltà e generosità che ha fornito aprendo la sua casa a sei giovani profughi giunti a Treviso dopo essere sbarcati a Lampedusa”. Poi, è stato proclamato Cittadino europeo dell’anno 2018 dal Parlamento di Strasburgo.
Dal 2015, in questi anni, i sei ragazzi africani sono andati a scuola d’italiano, hanno frequentato corsi professionali, svolto tirocini e infine hanno trovato lavoro. Nel 2017 Calò e la moglie hanno lasciato la casa di Povegliano ai figli e ai giovani profughi per andare a vivere nella canonica di Sant’Angelo, a Santa Maria sul Sile, vicino Treviso, con il parroco Giovanni Kirschner. Un’altra scelta significativa e radicale.
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Ora, a oltre quattro anni di distanza dal giorno in cui sono furono accolti dal professore e dalla sua famiglia, l’8 giugno 2015, i sei giovani profughi sono diventati autonomi e sono andati a vivere per conto loro. L’annuncio lo ha dato lo stesso Calò su Facebook, parlando di “Un giorno speciale”: “Ormai sono indipendenti, la nostra storia dimostra che l’accoglienza diffusa funziona e che l’integrazione si può fare davvero“, ha sottolineato.
I giovani accolti sono: Ibrahim e Tidjane, hanno 34 e 40 anni, vengono dalla Guinea Bissau e hanno trovato lavoro nella ristorazione; Sahiou e Mohamed, trentenni originari del Gambia, lavorano in una fabbrica di preparati per gelati e in un’industria di asfaltature; Saeed, 23 anni del Ghana, lavora come saldatore; infine Siaka, della Costa D’Avorio, lavora in un negozio di ortofrutta e lascerà la casa dei Calò per ultimo. Mohamed, Saeed e Tidjane sono andati a vivere insieme in un appartamento, mentre gli altri hanno scelto di andare a vivere da soli. Grazie all’opportunità che hanno ricevuto dal professore, tutti e sei i giovani oggi lavorano e sono indipendenti.
“È un giorno speciale per la nostra famiglia – ha spiegato Calò – perché i nostri figli neri escono da casa. Ciascuno di loro ha trovato una propria casa ed un lavoro. Nel 2015 abbiamo aperto le nostre porte: sono stati quattro anni difficili e intensi ma la nostra storia dimostra che l’accoglienza e l’integrazione si possono fare davvero“. “Qualsiasi genitore ha il desiderio di vedere i propri figli realizzati — ha detto Calò al Corriere della Sera — di vederli uscire di casa perché sono diventati autonomi grazie alle proprie competenze, conoscenze e capacità. E adesso anche i miei ragazzi ce l’hanno fatta“, ha sottolineato non nascondendo l’orgoglio.
I sei giovani hanno frequentato corsi di italiano e professionalizzanti, hanno fatto tirocini e alcuni di loro sono stati assunti a tempo indeterminato da alcune aziende. Gli stessi imprenditori che li hanno assunti, poi, li hanno aiutati a trovare un appartamento. In un caso, un ragazzo è stato anche aiutato nel ricongiungimento con il fratello, migrante a Malta.
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“La nostra storia è un risultato positivo – ha rimarcato Calò -, dimostra che l’accoglienza diffusa funziona, che l’integrazione si può fare. Se l’abbiamo fatta noi, che siamo una famiglia normale, possono farla tutti, a partire dai Comuni“. A questo proposito, il professore ha già presentato un progetto d’inserimento graduale, che può essere esportato in tutta Europa. Il progetto mette in comunione tutte le parti del mondo, perché ognuna possa dare un apporto fondamentale a un equilibrio non facile, ma necessario“, ha spiegato il professore.
“Il tema dell’accoglienza – ha poi aggiunto Calò – non è soltanto dei migranti, riguarda la solitudine e le solitudini. In canonica abbiamo ospitato in due anni sei persone, italiane e straniere. Nessuno rimane solo“.
Che ne pensate unimamme di questa storia, la conoscevate? Credete possa essere ripetuto il progetto del professore?
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