Le mamme che lavorano sono le più colpite dallo stress. La conferma da uno studio scientifico.
Le mamme che stanno dietro a figli e lavoro sono le più stressate. Non è un mistero, lo sanno tutti. Ora però arriva la conferma da uno studio. La Manchester University e l’Institute for Social and Economic Research della Essex University, in Inghilterra, ha condotto una ricerca importante, prendendo in esame diversi indicatori chiave dello stress cronico, inclusi alcuni parametri biologici, e sottoponendo un vasto campione di donne a un sondaggio.
Sono state prese in esame donne che lavoravano a tempo pieno, divise in due gruppi: quelle con figli e quelle senza figli. I risultati della ricerca si possono immaginare, ma in questo caso hanno l’autorevolezza dell’indagine scientifica.
Lo studio della Manchester University e dell’Institute for Social and Economic Research della Essex University è importante poiché è stato condotto su una vasta mole di dati. E sebbene sia soltanto uno studio, che ovviamente necessita di ulteriori approfondimenti, è abbastanza significativo. I ricercatori, guidati dal professor Tarani Chandola, hanno analizzato 11 indicatori dei livelli di stress cronico, esaminando anche parametri biologici, come la pressione del sangue e i livelli ormonali.
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I dati sono stati raccolti con un sondaggio e con test clinici su 6.025 partecipanti alla Household Longitudinal Survey. Dalle analisi è risultato che i biomarcatori che indicano lo stress cronico erano del 40% più alti nelle donne che lavoravano a tempo pieno e allevavano due bambini piccoli, rispetto alle donne che lavoravano a tempo pieno senza figli. L’impegno lavorativo e quello familiare in contemporanea sul lungo termine porta allo stress cronico e influenza negativamente e in modo pesante sulla salute. Inoltre, i livelli di stress cronico delle mamme lavoratrici non diminuiscono con il lavoro svolto da casa né con quello flessibile.
Dallo studio è emerso che solo la riduzione del numero di ore di lavoro aveva un effetto positivo nella riduzione dello stress. La soluzione è quella di ridurre l’orario di lavoro?
Ovviamente i casi sono soggettivi, dipende molto anche dal tipo di lavoro svolto. Katia Rastelli, psicologa di Humanitas, in un articolo apparso su Humanitasalute, spiega che “lo studio, seppur interessante, riporta soltanto un punto di vista della situazione. Esiste sicuramente una correlazione, per le mamme lavoratrici, tra aumento dello stress (segnalato anche da indicatori biologici) e numero di ore lavorative – ha precisato -, tuttavia riportare come principale soluzione il lavorare di meno, mi sembra alquanto riduttivo per la lettura d’insieme del fenomeno”. La psicologa ha spiegato che la percezione dello stress è in parte soggettiva, pertanto non è detto che si tratti di una rilevazione generale dello stato di malessere femminile.
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Occorre tenere conto di diversi fattori, ha aggiunto Rastelli. Tra i quali ci sono la stabilità lavorativa, l’aiuto che si riceve a casa, il sostegno alla genitorialità, gli aiuti statali come nidi, materna e, ovviamente, il supporto del partner. Tutti questi elementi possono contribuire ad alleviare o aumentare lo stress a seconda che siano positivi o negativi. Inoltre, bisogna anche considerare “se donna fa un lavoro che le piace o meno e infine le ore lavorative”.
La psicologa, infatti, ha sottolineato che “può essere molto più stressata una donna che non lavora, con un solo figlio, che ha dovuto lasciare il proprio impiego che piaceva perché non aveva rete di supporto per la sua crescita e che deve gestire da sola tutto il carico familiare, piuttosto che una madre lavoratrice, con un buon supporto familiare che ha la possibilità di svolgere un lavoro che le piace e che le permetta di ritagliarsi degli spazi personali al di fuori della famiglia”. Quindi, in conclusione, più che sulla drastica riduzione delle ore lavorative, occorre considerare il “rinforzo di varie forme di supporto, fondamentali per poter conciliare vita familiare e vita lavorativa, in un’ottica di libertà di scelta, più rispettosa della condizione femminile”.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista British Sociological Association Journal Sociology e segnalata da Italia a Tavola.
Che ne pensate unimamme? Siete d’accordo con le conclusioni della psicologa?
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