Elzabieta Fikowska, racconta la sua storia di bambina ebrea durante il nazismo. Una bambina che è riuscita a salvarsi perché portata via dal ghetto, di nascosto, poco più che neonata.
Elzabieta ha rilasciato una lunga intervista al “Corriere della Sera”, ospite dell’associazione Gariwo, la foresta dei Giusti, che l’ha invitata in occasione del Giorno della Memoria proprio per ricordare e celebrare la figura di Irena Sendler l’infermiera e assistente sociale che salvò almeno 2.500 persone, soprattutto bambini dal ghetto di Varsavia, con altri collaboratori.
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I nazisti infatti sceglievano di sacrificare prima i bambini rispetto agli adulti, perché non avevano la capacità né la forza di svolgere i lavori duri a cui venivano sottoposti i deportati, infatti Elzabieta racconta come è stata salvata: “ La mia mamma adottiva collaborava con Irena Sendler per proteggere i bambini in pericolo e per portarmi via si affidò a suo figlio, mio futuro fratellastro, che lavorava come muratore ed entrava spesso nel ghetto per raccogliere mattoni con il suo furgoncino. La mia vera madre rinunciò a me pur di salvarmi. Così mi sedarono e mi rinchiusero in una scatola di legno, con dei fori per poter respirare. Insomma, in quel carico di mattoni c’ero anch’io.”
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Quando ha scoperto di essere stata salvata dal ghetto aveva solo 17 anni ma con sé di quel periodo conservava sempre un cucchiaino di metallo dove erano incisi il suo nomignolo, Elzunia, il mio cognome e la data di nascita (5 gennaio 1942): “quel piccolo oggetto, divenne per me il gioiello più prezioso, la prova e la testimonianza della mia vera identità.” Elzabieta ricorda anche la sua infanzia, la sua vita “protetta” all’ interno di un convitto, una scuola privata con le suore: “Mi viziavano, ero una privilegiata, ma non ci facevo caso. A un certo punto un’amica, che si chiamava Eva, venne a trovarmi e mi disse: “Perché non mi hai mai confidato di essere ebrea? Io non sapevo nulla. La mia mamma adottiva aveva mantenuto il segreto: dopo la guerra a Varsavia venivano a cercare i bambini ebrei rimasti soli per portarli in Israele e lei voleva evitare che mi accadesse”.
Ma come era vista la Shoah in Polonia? “La Shoah era allora un argomento tabù, anche perché non si studiava a scuola, infatti ricordo che un giorno andai a chiedere informazioni al direttore dell’Istituto storico ebraico di Varsavia e lui mi disse: “Hai una bella vita, una bella famiglia, immagina di avere letto questa storia in un libro. Essere ebreo non ha mai portato fortuna a nessuno”. Ma Bieta da quanto ha scoperto la verità è stata sempre in prima fila nella difesa della libertà e dei diritti umani lottando anche durante il comunismo. Dopo la caduta del regime si è legata a chi voleva una democrazia equa e solidale, e oggi se le si chiede di giudicare la Polonia, lei decide di tacere evitando di rispondere: «Vorrei tanto evitare di rispondere”, senza nascondere che attualmente la politica non le piace affatto.
L’ultimo pensiero di Bieta, infine non può non essere rivolto a Irena Sendler: “Sapete che la chiamavamo “terza mamma”, perché la prima è la mamma naturale, la seconda è quella adottiva. La terza è stata lei. È bellissimo aver amato tre madri“.
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Sono veramente storie di bambini invisibili, perché il nazismo ha lasciato delle ferite aperte e tanta sofferenza per tutti quelli che sono stati perseguitati. Voi unimamme come cercate di raccontare ai vostri figli la storia degli ebrei durante il periodo di Hitler e la loro persecuzione?
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