Una storia per fortuna a lieto fine, quando Diana è nata le è stata diagnosticata una gravissima e sconosciuta malattia. La piccola era in continuo pericolo di vita e per cercare di guarire si è affidata alle cure dei medici dell’ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Sono stati anni duri, difficili per lei e la sua famiglia, ma anche anni di studi e di ricerche per identificare la mutazione del gene responsabile della sua patologia ultra-rara, di cui ad oggi si conoscono solo altri 4 casi al mondo, quasi tutti purtroppo con esito drammatico. Come riportato sul sito dell’ospedale, i risultati della ricerca sono stati pubblicati sul Journal of Experimental Medicine.
Oggi, 29/02/2020 è la giornata mondiale per le malattie rare, il Bambino Gesù sottolinea l’importanza della ricerca scientifica e dell’approccio multidisciplinare per riuscire a dare un nome alle malattie senza diagnosi. Proprio per questo ha voluto raccontare la storia di Diana. Dopo sole due settimane dalla nascita, i genitori della piccola l’hanno portata all’ospedale romano perché le sue condizioni di salute erano critiche: “pelle piena di macchie, febbre alta continua, gravi carenze di cellule nel sangue (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine)”. I medici la tengono in isolamento e dopo una prima cura la piccola si rimette e viene mandata a casa. Purtroppo, dopo soli pochi mesi, la piccola peggiora, “crisi e sintomi sempre più gravi, tra i quali vi sono anche emorragie intestinali, la piccola ha continue ricadute e i ricoveri si susseguono”.
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I medici decidono di inserirla in un percorso di ricerca per le malattie rare e viene identificata la mutazione responsabile della sua malattia, che coinvolge il gene CDC42 (già legato ad altre patologie rare). In seguito, sono stati individuati anche altri quattro bambini con la stessa malattia di Diana. Viene così deciso anche il nome della patologia: Sindrome NOCARH, acronimo di Neonatal-Onset Cytopenia with dyshematopoiesis, Autoinflammation, Rash and Hemophagocytosis. La patologia di Diana, che comincia a essere via via più comprensibile, continua a manifestare delle fasi infiammatorie acute molto gravi, che possono portare anche alla morte, come già accaduto agli altri pazienti.
Dopo un intervento d’urgenza molto critico, i medici decidono di utilizzare un farmaco sperimentale chiamato “emapalumab”, un anticorpo monoclonale utilizzato in bambini con HLH (Linfoistiocitosi Emofagocitica primaria). Il farmaco riesce a porre fine alle crisi e diventa così possibile procedere col trapianto del midollo. Purtroppo non si trovano donatori e per questo di decide di usare quello del padre. Grazie ad una complessa procedure, i medici riescono finalmente a predisporre ed eseguire l’intervento. Il professore Franco Locatelli ha confermato la diffocoltà del trapianto: “Un trapianto di cellule staminali emopoietiche da donatore aploidentico su una paziente con una patologia fino ad oggi sconosciuta presentava diverse incognite, ad esempio l’eventualità di un non attecchimento delle cellule infuse. Il rischio di insuccesso era altissimo, ma si trattava anche dell’unica opzione per sconfiggere la malattia con cui Diana lottava dalla nascita”.
Per fortuna la piccola adesso sta bene: “Un intervento unico al mondo per una bambina unica. Il trapianto è stato un successo e oggi Diana è guarita, non presenta più segni della malattia. Una malattia di cui non si sapeva il nome e di cui la bambina conserverà, forse, soltanto il ricordo”.
Voi unimamme eravate a conoscenza della storia di Diana, una bellissima storia di speranza!
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