Caso Vannini, la motivazione della sentenza della Cassazione: se soccorso Marco si poteva salvare. Si aggrava la posizione dei Ciontoli.
Sono uscite le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione che lo scorso 7 febbraio ha annullato con rinvio la sentenza di appello del processo per la morte di Marco Vannini. La sentenza aveva applicato un forte sconto di pena per Antonio Ciontoli, il militare condannato per aver sparato al ragazzo, fidanzato di sua figlia, la notte tra il 17 e il 18 maggio del 2015. Una vicenda dolorosissima, che ha coinvolto emotivamente tutta Italia, e che ha visto mamma Marina, la madre di Marco, lottare con i denti per dare giustizia al figlio.
Quella notte di quasi cinque anni fa, Marco, che all’epoca aveva vent’anni, era a casa della sua fidanzata, Martina Ciontoli, a Ladispoli, in provincia di Roma. Per cause che non sono mai state del tutto chiarite Marco fu ferito all’ascella destra con un colpo di pistola ma la famiglia Ciontoli, che era presente in casa, tardò a chiamare i soccorsi e Marco morì per l’emorragia causata dalla ferita d’arma da fuoco. Una morte che poteva essere evitata se si fosse agito in tempo. Questo è il punto centrale della vicenda sulla quale è ora è chiamata a pronunciarsi una nuova Corte d’Appello.
La sera del 17 maggio 2015, Marco Vannini era nella casa della famiglia della sua fidanzata Martina Ciontoli, a Ladispoli, sul litorale a nord di Roma. Oltre a Martina si trovavano nell’abitazione i genitori della ragazza, Antonio Ciontoli e Maria Pezzillo, il fratello Fedrico Ciontoli e la fidanzata di lui, Viola Giorgini.
Per motivi che non sono mai stati veramente spiegati Marco quella sera fu ferito con un colpo di pistola. A sparargli, stando alle indagini e per sua stessa ammissione, fu Antonio Ciontoli, militare di professione, sottufficiale della Marina Militare, con un incarico anche nei servizi segreti. Il colpo era partito, sembra accidentalmente, dalla sua pistola di servizio, detenuta dunque legalmente,. L’uomo riferì che stava mostrando la pistola al fidanzato di sua figlia, stavano giocando e facendo finta di sparare partì inavvertitamente un colpo. Marco fu ferito all’ascella destra. Antonio Ciontoli ha sempre detto di essere stato l’unico a sparare e che si era trattato di un incidente.
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Anche ritenendo il colpo di pistola accidentale, gravissimo tutttavia è stato il comportamento tenuto dalla famiglia Ciontoli dopo l’incidente. Mentre Marco era riverso ferito i familiari della sua ragazza si preoccuparono per prima cosa di trovare il foro di uscita del proiettile. Marco fu pulito, lavato, cambiato di abiti e fatto sedere e solo quando la sua agonia sembrava aggravarsi, tra urla e lamenti atroci, la famiglia Ciontoli si decise a chiamare il 118 ma senza raccontare quello che era veramente accaduto. Fu Federico, il fratello della fidanzata di Marco, a chiamare il 118 ma all’operatrice parlò soltanto di uno scherzo e di uno spavento. Poi chiuse la telefonata e disse che non c’era più bisogno di alcun intervento.
Quando la situazione precipitò, con Marco che stava sempre più male, fu inevitabile chiamare di nuovo il 118 e chiedere l’intervento di un’ambulanza. Nemmeno questa volta, tuttavia, i Ciontoli raccontarono la verità ai soccorritori. A telefonare questa volta fu Antonio Ciontoli, che all’operatrice del 118 disse che Marco era caduto nella vasca mentre si stava facendo la doccia, si era ferito con la punta di un pettine e più che una ferita si era preso un grosso spavento.
Con la descrizione di un incidente tutto sommato non grave i soccorritori inviarono soltanto un’auto medica in codice verde e non un’ambulanza con personale specializzato. Solo dopo fu invaiata un’ambulanza e con il codice rosso, quando Antonio Ciontoli fu costretto a dire ai soccorritori quello che era veramente accaduto. A quel punto partiva la corsa verso l’ospedale ma ormai per Marco era troppo tardi, non c’era più niente da fare.
Dal momento dello sparo all’arrivo al pronto soccorso erano passate circa tre ore e il proiettile nel corpo di Marco aveva provocato un’emorragia letale. Se i soccorsi fossero stati chiamati in tempo Marco si sarebbe potuto salvare. Qui sta la responsabilità dei Ciontoli e soprattutto di Antonio, militare di professione: più che lo sparo l’aver ritardato i soccorsi.
Il caso, che scosse profondamente l’opinione pubblica, arrivò alla sentenza di primo grado nell’aprile del 2018. Antonio Ciontoli fu condannato a 14 anni di reclusione per il reato di omicidio volontario. Mentre gli altri componenti della famiglia Ciontoli, compresa la fidanzata di Marco, Martina, furono condannati ognuno a 3 anni per omicidio colposo. La volontarietà del reato di Antonio Ciontoli fu riconosciuta non tanto per il colpo di pistola sparato al ragazzo quanto per il comportamento volontario nel ritardare i soccorsi, pur sapendo che Marco rischiava la vita. La madre di Marco, però, non fu soddisfatta della sentenza di primo grado perché si aspettava per Antonio Ciontoli una condanna a 21 anni di carcere, come richiesta dal pubblico ministero.
L’esito del processo di appello, però, è stato di gran lunga peggiore per la famiglia Vannini. La Corte di Appello di Roma, infatti, ha riconosciuto nella condotta di Antonio Ciontoli un comportamento soltanto colposo e non volontario, nonostante la gravità di tutto quello che aveva fatto quella sera, comprese le false dichiarazioni al 118. L’uomo a gennaio del 2019 veniva condannato a soli 5 anni di carcere per omicidio colposo, con una pena ridotta quasi a un terzo di quella comminata in primo grado. Mentre per gli altri componenti della famiglia Ciontoli veniva confermata la condanna a 3 anni di reclusione, sempre per omicidio colposo. La fidanzata di Federico Ciontoli, Viola Giorigini, già assolta dall’accusa di omissione di soccorso in primo grado, veniva assolta nuovamente anche in secondo grado.
Per i genitori di Marco l’esito del processo di appello è stato un vero e proprio shock. Le loro reazioni indignate alla lettura della sentenza venivano redarguite severamente dal presidente della Corte. Ma insieme a loro era tutta l’Italia ad essere sorpresa e scioccata del forte sconto di pena per Antonio Ciontoli.
Infine, sul caso Vannini si è pronunciata la Corte di Cassazione, ai primi di febbraio, un mese fa: la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di appello, il che significa che il processo di secondo grado si deve rifare. Secondo i giudici della prima sezione penale della Cassazione, che ha esaminato il caso, il comportamento di Antonio Ciontoli non può definirsi “colposo”.
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Ora la Corte di Cassazione ha pubblicato le motivazioni della sua sentenza, scrivendo che “la morte di Marco Vannini sopraggiunse” dopo il colpo di pistola “ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli” che “rimase inerte ostacolando i soccorsi“, e fu “la conseguenza sia delle lesioni causate dallo sparo che della mancanza di soccorsi che, certamente, se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato l’effetto infausto“. Come cita l’Ansa. Quindi il comportamento di Antonio Ciontoli non può definirsi semplicemente colposo, perché nell’omettere di prestare soccorso al ragazzo sapeva che avrebbe potuto provocarne la morte. Qui sta la volontarietà della sua condotta, qui sta la sua responsabilità.
Un elemento di grande novità, tuttavia, è anche la considerazione del comportamento tenuto dagli altri componenti della famiglia Ciontoli la sera in cui Marco morì. Secondo la Cassazione, infatti, “presero parte all’omicidio di Marco Vannini”. Per i giudici, dunque, dovrà essere esaminato anche a loro carico l’elemento del “dolo” per il fatto che erano consapevoli che ritardando i soccorsi Marco sarebbe morto, visto che sapevano che era stato colpito da uno sparo, perché avevano cercato “il foro d’uscita”. La Cassazione ha sottolineato: “Non è configurabile il concorso colposo nel delitto doloso”, pertanto occorre un “nuovo giudizio sull’elemento soggettivo in capo agli imputati”.
La Suprema Corte ha spiegato che Marco Vannini “rimasto ferito in conseguenza di quello che si è ritenuto un anomalo incidente…restò affidato alle cure di Antonio Ciontoli e dei di lui familiari”. Tutti, si legge nella sentenza, “presero parte alla gestione delle conseguenze dell’incidente: si informarono su quanto accaduto, recuperarono la pistola e provvidero a riporla in un luogo sicuro, rinvennero il bossolo, eliminarono le macchie di sangue con strofinacci e successivamente composero una prima volta il numero telefonico di chiamata dei soccorsi”.
Questa sequenza di azioni “rende chiaro”, hanno aggiunto i giudici, che “Antonio Ciontoli e i suoi familiari assunsero volontariamente, rispetto a Marco Vannini, rimasto ferito nella loro abitazione, un dovere di protezione e quindi un obbligo di impedire conseguenze dannose per i suoi beni, anzitutto la vita”.
Durissime sono le parole dei giudici di Cassazione nei confronti di Martina Ciontoli, la fidanzata di Marco, secondo i quali nel comportamento della ragazza “si coglie anche più della reticenza”. Infatti, “all’infermiera”, le cui dichiarazioni “sono state confermate da quelle dell’autista” dell’ambulanza, “una ragazza bionda, poi riconosciuta in Martina Ciontoli, non appena ella giunse presso l’abitazione della famiglia Ciontoli, disse di non sapere cosa fosse successo, perché lei non era stata presente“, scrive Repubblica. Dunque Martina raccontò una falsità all’infermiera che soccorse Marco quella sera di maggio del 2015.
Che ne pensate unimamme? Marco avrà finalmente la giustizia che merita?
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