Le scuole chiuse sono un problema non solo per quanto riguarda la didattica, ma anche dal punto di vista umano, le paure di una Preside di “frontiera”.
La dirigente scolastica di una delle scuole di frontiera del nostro Paese ha raccontato al Corriere tutte le sue paure e le sue speranze per i suoi ragazzi che vivono in condizioni difficili: “Ho paura di perdere i miei ragazzi, ho paura che qualcun altro li rapisca. Ma la scuola non smetterà mai di cercarli“.
Eugenia Carfora è la dirigente scolastica dell’Istituto Superiore Tecnico Professionale “Morano”, scuola “di frontiera” del parco Verde di Caivano. Lei ogni giorno aspettava al cancello i suoi ragazzi e se non li vedeva arrivare si organizzava ed andava a cercarli per portarli a scuola. In questo periodo che le scuole sono chiuse a causa della pandemia mondiale la dirigente è molto preoccupata per i suoi ragazzi che sono costretti a stare a casa. Per lei la sua scuola dovrebbe riaprire perché altrimenti “se li prende qualcun altro”, il che significa, per questi ragazzi, camorra. Cerca di non lasciarli da soli provando a mantenere un filo diretto: “li chiama al telefono, gli manda sms, li spinge a tenersi in contatto con gli altri compagni”, ma è difficile.
Al giornalista che l’ha intervistata ha raccontato anche delle difficoltà che una scuola come la sua affronta per quanto riguarda la didattica a distanza. Sono pochi i ragazzi che si collegano ala piattaforma: “I centocinquanta che già venivano a scuola un po’ si e un po’ no, li ho persi. Da subito. Niente da fare, anche se ci siamo attivati. Prima mi sarei messa in macchina e sarei andata a cercarli a uno a uno”. Inoltre molti docenti hanno chiesto il congedo parentale come previsto dai provvedimenti del governo.
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La dirigente non si arrende e per dare un segnale che la scuola è presente lascia i cancelli aperti e la luce accesa e fa suonare la campanella. Per i ragazzi non c’è bisogno dei dispositivi elettronici per aiutare i ragazzi nella didattica a distanza, ma un aiuto diverso da parte del Ministero: “Il ministero mi vuole mandare i tablet, ma io qui avrei bisogno dello psicologo. Avrei bisogno di aprire uno sportello di ascolto, per parlare con i ragazzi della loro paura, dell’angoscia di questa situazione e del loro futuro”.
Il suo pensiero va sempre ai ragazzi, infatti per la Professoressa Canfora non è tanto un problema di seguire il programma, ma vuole aiutare i ragazzi a superare questo periodo: “Io non sono preoccupata dei contenuti delle lezioni, il programma che non si fa quest’anno si farà il prossimo. Io sono preoccupata dal silenzio dei ragazzi, dalla loro angoscia: tutti insieme chiusi in casa, con genitori che spesso non ce la fanno, né come genitori nè economicamente: per loro venire a scuola era la possibilità di appartenere ad un altro mondo, diverso da quello di casa. Voleva dire avere una possibilità: io sono molto preoccupata di quello che passa nella testa dei miei ragazzi in questi giorni”.
Per questo vorrebbe che la sua scuola venisse aperta: “Se i ragazzi non tornano a scuola, saranno risucchiati. Mi sono spiegata?”.
Poi ha spiegato cosa pensa di promuovere, a fine anno, tutti i ragazzi anche se non hanno frequentato la scuola raccontando cosa ha risposto ad uno di loro quando gli ha posto la stessa domanda: “Me lo ha chiesto anche Giuseppe, uno dei ragazzi del professionale. Gli ho detto: ma se adesso tu fossi malato di Coronavirus e avessi, accanto al tuo respiratore, un medico promosso così a casa che non ha studiato, che cosa penseresti? “Che mi fa morire, mi ha risposto. Se io ti do il diploma gratis in questo momento non ti faccio un piacere. Non è possibile che questa situazione si tramuti in un’occasione per ottenere comunque quello che non si merita”.
Voi unimamme cosa ne pensate delle paure della Professoressa Canfora? Credete che sia giusto riaprire la scuola?
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