Due medici, esperti, commentano come la pericolosità del Covid 19 cambi in funzione delle diverse modalità di esposizione al virus. E parlano della regola dei 6 secondi.
Unimamme, oggi vi riportiamo alcuni studi riguardanti i virus che possono far luce su come si comporta il Covid – 19 e su come possiamo difenderci.
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Esposizioni a dosi letali di Covid-19: la regola dei 6 secondi
Oggi convidiamo con voi alcune riflessioni da parte del dottor Rabinovitz, professore di chimica e genomica e della dottoressa Caroline Barman, ricercatore di genomica, che hanno condotto un’analisi sulla quantità di virus a cui si è esposti.
Tutti forse, ricorderanno il dottor Li Wenliang, eroico medico cinese che ha attirato l’attenzione internazionale sul Covid-19. Purtroppo questo coraggioso medico è morto a 34 anni a causa del virus. All’epoca ci siamo chiesti, in virtù della giovane età, se l’esposizione ad alte dosi di coronavirus non abbia giocato un ruolo determinante. Dato per assodato che dosi massicce di un virus, in termini di esposizione, causano più danni di piccole dosi bisogna considerare che non tutte le esposizioni al virus sono le stesse.
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Naturalmente sono necessarie delle precisazioni. Piccole e grandi quantità al virus possono replicarsi nelle nostre cellule e causare gravi malattie in individui vulnerabili o immunodepressi. Nelle persone sane il sistema immunitario risponde subito appena sente un virus crescere all’interno. Scatta quindi una gara tra l’espansione virale e l’attivazione immunitaria. Gli esperti di virus sanno che la dose virale influisce sulla gravità della malattia. Dagli esperimenti in laboratorio sui topi si evince che quelli che ricevono una dose bassa di virus lo eliminano e si riprendono. Con dosi alte di virus vengono uccisi. Anche gli esseri umani hanno una sensibilità verso la dose virale. Alcuni volontari si sono sottoposti a dosi di virus che causano raffreddore o diarrea. Quelli con dosi basse hanno sviluppato raramente segni visibili di infezione, mentre con alte dosi hanno avuto sintomi più gravi.
Ovviamente non sono stati fatti studi in laboratorio su esseri umani per il coronavirus, però si può prendere come esempio la Sars del 2003. In un condominio di Hong Kong un uomo malato ha sparso il virus dove abitava, senza volerlo, e sono morte 19 persone. Si pensa che la diffusione del virus sia stata causata dalle particelle virali disperse nell’aria. I vicini più distanti hanno corso meno rischi di quelli nelle prossimità dell’infetto.
Le infezioni a basse dosi possono addirittura anche creare immunità.
I due esperti criticano il fatto che molti studi epidemiologici non tengano in conto la diversa esposizione al virus e sottolineano quindi che le persone devono fare attenzione soprattutto all’esposizione ad alte dosi del virus, determinate da interazioni a distanza ravvicinata, inferiori a 1,8 metri. Sappiamo che non dobbiamo toccare viso, naso e bocca dopo esserci esposti a una notevole quantità di virus che può essere sulle nostre mani. Le interazioni sono più pericolose in spazi chiusi a breve distanza con una dose che aumenta con il tempo di esposizione. Per interazioni in cui non si può mantenere la distanza di 1 metro e 80, per esempio pagando in cassa in un negozio di alimentari, gli esperti dicono di considerare la “regola dei 6 secondi”
Quindi, come forse avrete già intuito, i medici rischiano molto perché lavorano costantemente a contatto con dosi massicce di virus, con pazienti malati con una più alta carica virale. Le regole che tutti conosciamo, come rispettare la distanza, lavarci spesso e bene le mani, indossare la mascherina, non riducono solo la diffusione infettiva, ma tendono anche ad abbassare la dose virale e quindi la letalità delle infezioni che si verificano.
Gli esperti cercano anche di sradicare anche alcune errate convinzioni. Per esempio cibo e vestiti di una persona col virus contengono una bassa carica. Gli esperti ribadiscono che, con la riapertura, mantenere la distanza è importantissimo, così come lavare bene le mani, per ridurre le infezioni dovute ad alte dosi di virus.
Unimamme, cosa ne pensate di queste considerazioni riportate sul New York Times?
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