Da una ricerca emerge che la vitamina D può aiutare ad evitare complicazioni gravi per il Covid – 19. Le ricerche che lo dimostrano.
Unimamme, ormai è accertato che la vitamina D può aiutarci a contrastare il Covid 19, chi ne è carente infatti può essere a rischio per il coronavirus. Inizialmente si era un po’ scettici nei confronti di questa notizia, ma ora sembra giunta la conferma dal mondo della scienza.
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I professori Giancarlo Isaia e Enzo Medico dell’Università di Torino hanno analizzato questo caso. I loro primi dati dimostravano che:
I loro risultati erano stati fortemente criticati perché non avevano la convalida scientifica. La svolta è avvenuta con la pubblicazione di uno studio su Aging Clinical and Experimental Research che dimostra che, in Europa, esiste un‘associazione tra bassi livelli di vitamina D e:
Gli scienziati dell’Anglia Ruskin University di Cambridge e del Queen Elizabeth Hospital di Londra, sono arrivati alle stesse conclusioni del colleghi italiani. La vitamina D infatti:
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“Abbiamo trovato relazioni significative tra i livelli di vitamina D e il numero di casi Covid-19 e in particolare la mortalità causata da questa infezione. Il gruppo di popolazione più vulnerabile per Covid-19 è anche quello che presenta il maggior deficit di vitamina D. La vitamina D ha già dimostrato di proteggere dalle infezioni respiratorie acute e si è dimostrata sicura. Riteniamo di poter consigliare l’integrazione di vitamina D per proteggere dall’infezione Covid-19” si legge nello studio.
Si ritiene che questa vitamina consenta l’assorbimento di calcio e fosfato, che sono fondamentali per la formazione di ossa e denti. La vitamina D protegge dall’osteoporosi. Essa è anche un neurotrasmettitore e influenza il sistema immunitario. Modula la risposta dei globuli bianchi, protegge dalle infezioni acute del sistema respiratorio. Inoltre ha un’azione anche antimicrobica, ma previene il rilascio delle citochine infiammanti che per il Covid – 19 costituiscono motivo di aggravamento. I ricercatori inglesi hanno preso in considerazione due Paesi in cui il coronavirus ha mietuto più vittime.
Qui è stato dimostrato che le persone avevano tassi di vitamina D più basso rispetto alle persone di altri Paesi europei. I valori sono:
Le ipotesi su questa discrepanza riguardano il fatto che gli anziani tendono ad evitare il sole troppo intenso. L’abbronzatura riduce il tasso di sintesi della vitamina. Al Nord non si evita il sole come da noi, dal momento che la potenza del sole è minore. In Scandinavia, notoriamente, ci sono state meno vittime. Ad avvalorare tutto ciò vi è anche un altro studio. Stando a una precedente ricerca il 75% del personale sanitario e dei ricoverati nelle case di riposo aveva una carenza di vitamina D.
La vitamina D è legata anche all’Ace2, l’enzima di conversione dell’agiotensina 2, che è lo strumento prediletto dal coronavirus per entrare nell’organismo. Nelle persone più giovani colpite da Covid 19 c’è meno carenza e così anche nelle donne. Detto ciò, naturalmente, non è la pur preziosa vitamina D a fare la differenza nella sopravvivenza al Covid 19.
Abbiamo poi un altro studio di cui si parla su Wired, che lega alti tassi di vitamina D a un ridotto tasso di letalità al Covid 19. Lo studio è stato condotto dalla Northwestern University. Ecco come si è svolto.
Infine è emerso che la vitamina D potrebbe avere un ruolo importante, il rischio di avere un’infezione da Coronavirus grave fra chi ha una carenza da vitamina D è:
Gli scienziati hanno analizzato studi precedenti scoprendo che la chiave è nel sistema immunitario e, in particolare, nelle citochine. Secondo gli studiosi la vitamina D impedirebbe che il sistema immunitario diventi iper reattivo, regolando meglio i livelli di citochine e dunque l’infiammazione. Vadim Backman, che ha coordinato lo studio, ha commentato: “Nonostante io ritenga che sia importante per le persone sapere che una carenza di vitamina D potrebbe avere un ruolo nella mortalità, non dobbiamo somministrare vitamina D a tutti. “Questo richiede altri studi e la speranza è che il nostro lavoro stimoli l’interesse verso questo settore. I dati possono anche chiarire il meccanismo legato alla letalità, che, se dimostrato, potrebbe portare a considerare nuovi bersagli terapeutici”. Quest’ultimo studio è stato presentato su medrxiv.
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Unimamme, cosa ne pensate di questi studi di cui si parla anche su Springer Link e su Business Insider?
Voi sapete che livello di vitamina D avete?
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