Parto prematuro: in base ad alcuni dati forniti da vari Paesi europei, durante il lockdown, c’è stato un grande calo. Ma quali sono le motivazioni?
A quanto pare in quei mesi così concitati e terribili, dove la maggior parte delle terapie intensive di tutti i Paesi mondiali erano piene di malati di Covid, alcune di queste hanno registrato un netto calo di pazienti. Si tratta delle terapie intensive destinate ai bambini che nascono prematuramente.
Di solito il parto è previsto dopo la 40esima settimana di gravidanza, tutti quelli che avvengono prima della 37esima settimana sono chiamati parti prematuri. Tra questi c’è da fare una distinzione perché quelli che avvengono prima della 32esima settimana sono considerati a rischio. In quanto in questo momento della gravidanza il bambino ancora non è formato del tutto e, se dovesse nascere, potrebbe avere problemi alla vista, all’udito, ai polmoni o contrarre qualche infezione dalla quale difficilmente riuscirebbe a sopravvivere.
Proprio per questo motivo, quando la gravidanza è difficile, molti medici consigliano alle proprie pazienti il riposo assoluto per evitare di incorrere a parti prematuri.
In ogni caso, anche se ancora non sono ben chiare le cause che possono provocare un parto prematuro, durante il lockdown si è registrato un netto calo di questi parti in gran parte dei Paesi europei e non. Cioè gran parte delle donne incinte è riuscita a partorire nei termini previsti, quindi dopo la 40esima settimana.
A mettere in risalto questi dati sono stati inizialmente due Paesi, l’Irlanda e la Danimarca. La ricerca è partita in base ad un’osservazione di Roy Philip, neonatologo del reparto di maternità nell’Ospedale di Limerick, in Itrlanda. Dopo essere tornato a lavoro, inseguito alla fine del lockdown, Philip si è reso conto che nessuna mamma aveva fatto ordini di latte materno fortificato che è quello che si dà ai bambini prematuri.
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Così, mosso da curiosità, ha iniziato un’indagine interna all’Ospedale, confrontando i pesi dei neonati tra gennaio e aprile degli anni precedenti, rispetto a quelli nati nel 2020. A quanto pare durante il lockdown, i bambini che sono nati sotto il chilo e mezzo sono stati solo 2 su 100.000, contro gli 8 su 100.000 mila degli anni precedenti.
Alle stesse conclusioni è arrivato un team medico di Copenaghen che ha, invece, verificato la percentuale di parti prematuri nel 2020, rispetto agli anni precedenti. Anche in questo caso si è notato un netto calo pari quasi al 90 %.
Per il momento non ci sono delle risposte scientifiche concrete, ma probabilmente a contribuire a questi risultati, che si sono verificati in ogni parte del mondo dall’Europa, al Canada, all’Australia e anche negli Usa, è stato il riposo forzato a cui le donne incinte sono state sottoposte.
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Come sostiene il neonatologo Stephen Patrick, dell’ospedale di Nashville, in un’intervista su Il Messaggero:
“Un fattore determinante potrebbe essere il riposo, con le donne che hanno avuto meno stress dal lavoro, hanno dormito di più e hanno ricevuto più supporto dalla famiglia. Inoltre, stando a casa le gestanti hanno evitato in generale le infezioni, non solo quelle dal coronavirus, ed è noto che alcuni virus possono aumentare il rischio di parto prematuro. Anche l’inquinamento atmosferico, che è stato legato ad alcuni casi di parti pretermine, è diminuito durante i lockdown”
Insomma pare proprio che il lockdown, almeno per una cosa, sia stato positivo. Ha evitato che molte mamme lavoratrici, spesso stressate e poco a riposo, mettessero in pericolo la gravidanza. Per questo hanno avuto la possibilità di trascorrere quei mesi in serenità e magari circondate dall’affetto dei propri partner che sono riusciti anche ad aiutarle in case e a farle sentire un po’ più coccolate.
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E voi Unimamme conoscevate queste statistiche?
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