L’adozione è un grande passo per la coppia, tanto che entrano in gioco una serie di fattori psicologici ed emozionali importanti.
Adottare è un scelta non solo di testa, ma anche di cuore. Sono tanti i fattori che portano una coppia a prendere questa decisione, non solo perché non si riesce ad avere un figlio naturalmente, ma anche perché si vuole allargare la famiglia o dare la possibilità a un bambino di poter vivere una vita migliore.
Insomma è una scelta che viene fatta con grande consapevolezza e soprattutto una decisione che viene presa in due, in quanto il percorso che si intraprende è molto lungo e fatto di mille ostacoli.
In Italia, prima che si riesca ad adottare un bimbo, purtroppo passano diversi anni e questo comporta il fatto che molte coppie possano poi tirarsi indietro perché stanche di aspettare o gravate psicologicamente. In un articolo passato avevamo già affrontato tutte le difficoltà che le coppie sono costrette ad attraversare quando intraprendono questo percorso.
Ma come si fa a riconoscere quando si è pronti ad adottare?
Ci sono tanti elementi in una coppia, ma anche nella vita di un single, che portano a prendere questa decisione. Ciò che si sente con grande fervore è la volontà di voler donare il proprio amore ad un bambino che ha bisogno di essere coccolato e apprezzato. In ogni caso ogni coppia o single, in base al proprio vissuto di vita, intraprende questa scelta – tempo fa vi avevamo raccontato l’esperienza di due genitori Tammy e Draw.
A sostenerlo è la dottoressa Lisa Trasforini, psicologa per l’Associazione Amici dei Bambini, in una sua intervista sul magazine Donna Moderna:
“Più che capire se si è pronte per l’adozione, si tratta di sentire. E, per quanto mi insegna l’esperienza, si è pronte all’adozione quando al “vuoto della pancia” si sostituisce il pensiero gioioso e costruttivo che, da qualche parte nel mondo, esista un bambino che aspetta proprio di essere adottato, accolto e amato”.
Come detto in precedenza, la scelta di adottare un bambino, di solito, all’interno della coppia arriva nel momento in cui dopo diversi tentativi non si riesce a procreare naturalmente.
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Questo a livello sia fisico sia emozionale può provocare una serie di difficoltà psicologiche in entrambi i partner, sia perché ci si sente inadeguati, sia perché si inizia a vedere il proprio corpo come qualcosa di imperfetto e inevitabilmente si mette a confronto con quelle altre coppie conoscenti che sono riuscite a creare una famiglia.
Di conseguenza l’idea dell’adozione inizia ad aleggiare nella coppia solo dopo diverso tempo, perché viene vista come un ripiego e come ultima delle possibilità da sfruttare. A ribadirlo sempre la dottoressa Trasforini su Donna Moderna:
“Non riuscire ad avere un figlio, all’inizio, è un vero e proprio shock perché ci si sente imperfetti e, soprattutto se l’infertilità è unilaterale, subentra anche una sorta di senso di colpa nei confronti della relazione di coppia di cui un figlio è considerato, da sempre, la terza dimensione necessaria”.
Solo la forza di voler continuare insieme il percorso di vita e soprattutto il voler, comunque, donare il proprio amore ad un’altra persona consente alla coppia di superare questo difficile periodo. Inevitabilmente se la coppia riesce a superare questa serie di complicazioni, ne esce più forte di prima e pronta ad assumersi la responsabilità di una terza persona.
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Infatti l’adozione è proprio questo: immergersi in un percorso totalmente nuovo e diverso, ma con mille sfide da superare.
È comunque una scelta che viene dopo una lunga maturazione di coppia, in cui entrambi i partner sentono la necessità di occuparsi di un figlio, soprattutto perché quel bambino poi diventerà il proprio.
Così per questo motivo prima di arrivare a una scelta del genere è necessario andare in fondo alle proprie emozioni e sensazioni, in modo tale da essere sicuri della scelta fatta. Così come ripete la dottoressa Trasforini su Donna Moderna:
“La genesi della scelta di adottare (la scoperta dell’infertilità) può essere assimilata, come sensazione, a una malattia o a una mancanza ma poi il fine è quello di una genitorialità piena a tutti gli effetti, costellata da gioie e dolori proprio come la genitorialità biologica”.
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E voi Unimamme cosa ne pensate?
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