Indagine di sieroprevalenza sul Coronavirus: quanti sono gli italiani con gli anticorpi, i primi risultati dei test.
Si è conclusa l’indagine di sieroprevalenza sul nuovo coronavirus Sars-CoV-2 nella popolazione italiana, condotta tra maggio e luglio. Il 3 agosto l’Istat ha presentato i primi risultati, ancora provvisori, relativi a 64.660 persone che hanno effettuato il prelievo.
Si tratta dei risultati dei test sierologici presso la popolazione italiana a campione, disposti dal Ministero della Salute per verificare l’effettiva diffusione del Coronavirus nel nostro Paese. Nei mesi scorsi, i volontari della Croce Rossa hanno contattato le persone scelte a campione per sottoporle al test sierologici e verificare la presenza di anticorpi al Sars-Cov-2. A causa infatti della presenza di numerosi asintomatici e pauci sintomatici, molte persone possono essere state contagiate senza accorgersene o aver scambiato il Covid-19, la malattia provocata dal virus, per una sindrome influenzale o un altro virus stagionale.
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Ora grazie all’indagine di Istat e Ministero dalla Salute sappiamo, all’incirca, quante persone hanno effettivamente contatto il virus in Italia. Si tratta di un numero che è fino a 6 volte superiore a quello delle stime ufficiali, che alla data del 3 agosto registrano 248.229 casi complessivi di Coronavirus dall’inizio dell’epidemia in Italia. Dunque uno stacco notevole.
Si tratta al momento soltanto di dati provvisori e limitati ma significativi, quelli dell’indagine di sieroprevalenza sul SARS-CoV-2 condotta su un campione selezionato della popolazione italiana tra il 25 maggio e il 15 luglio. Quella con le chiamate a casa delle persone selezionate da parte del personale volontario della Croce Rossa, chiamate che purtroppo sono state rifiutate da diversi italiani, vuoi per ignoranza vuoi per paura di non ricevere un tampone in tempi ragionevoli nel caso di positività al virus.
Questi dati preliminari, comunque, importanti, si riferiscono a 64.660 persone in tutta Italia che hanno effettuato il prelievo e il cui esito è giunto entro il 27 luglio. Obiettivo dell’indagine di sieroprevalenza è quello di definire la proporzione di persone nella popolazione generale che hanno sviluppato una risposta anticorpale contro SARS-CoV-2. La ricerca di anticorpi è stata effettuata con l’impiego di test sierologici, che hanno analizzato campioni di sangue acquisiti con il prelievo. Infatti, mentre il tampone è in grado di trovare la positività al virus solo in persone che siano al momento infette, il test sierologico trova la risposta anticorpale in persone che non sono infette in quel momento ma che sono entrate in contatto con il virus in precedenza e il cui organismo ha sviluppato una risposta. Il problema con il Coronavirus, infatti, è che non si conosce con esattezza il numero esatto delle persone che lo hanno contratto perché molte non hanno sviluppato i sintomi della malattia e non si sono accorte di averla avuta oppure hanno avuto pochi sintomi scambiati per influenza o per una sindrome da raffreddamento.
Con i test sierologici, invece, è possibile stabilire la vera prevalenza d’infezione da parte di SARS-CoV-2, ovvero quante persone sono venute a contatto con il virus e di comprendere la reale diffusione dell’infezione virale attraverso la risposta anticorpale. La metodologia adottata nell’indagine permette anche di stimare la frazione di infezioni asintomatiche o subcliniche e le differenze per fasce d’età, sesso, regione di appartenenza, attività economica e altri fattori di rischio.
L’indagine di Istat e Ministero della Salute ha scoperto che le persone risultate con IgG positivo, cioè che hanno sviluppato gli anticorpi per il SARS-CoV-2, sono 1 milione 482mila le persone, il 2,5% della popolazione residente in famiglia (escluse le convivenze). Pertanto, le persone che sono entrate in contatto con l virus in Italia sono circa 6 volte di più rispetto al totale dei casi intercettati ufficialmente durante la pandemia, attraverso l’identificazione del RNA virale tramite il tampone, secondo quanto prodotto dall’Istituto Superiore di Sanità.
Il 2,5% della popolazione italiana è solo una media nazionale di dati molto diversi tra le regioni. La Lombardia, regione maggiormente colpita dal Coronavirus con il più alto numero di infezioni e decessi, raggiunge il livello massimo del 7,5% di sieroprevalenza. Un dato che è fino a 7 volte superiore quello rilevato nelle regioni a più bassa diffusione del virus, in particolare al Sud. I calcoli sui risultati dei test sierologici hanno stimato 754.331 persone con gli anticorpi del virus in Lombardia.
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Da sola la Lombardia ha il 51% delle persone che hanno sviluppato anticorpi al Sars-CoV-2 in Italia. In questa regione, dove risiede circa un sesto della popolazione italiana, si è concentrato il 49% dei morti per Covid-19 e il 39% dei contagiati ufficialmente intercettati durante la pandemia. Dunque quasi la metà di tutti i morti in Italia, che hanno superato i 35 mila casi, e poco più di un terzo dei contagiati ufficialmente accertati.
Il dato ancora più clamoroso, tuttavia, riguarda le province lombarde che nei mesi scorsi abbiamo visto colpite duramente dal virus: a Bergamo il tasso di sieroprevalenza è del 24%, mentre a Cremona è del 19%.
Del resto, il rapporto congiunto di Istat e Iss sulla mortalità in Italia nel primo trimestre 2020 aveva mostrato un vero e proprio boom di decessi a marzo proprio nelle due province lombarde più colpite: Bergamo +568% e Cremona +391% decessi rispetto al marzo 2015-2019.
Dopo la Lombardia, la seconda regione italiana con il più alto livello di sieroprevalenza è la Valle d’Aosta con il 4%. Seguono diverse regioni con un tasso intorno al 3%: Piemonte (3%), Provincia Autonoma di Trento (3,3%), Provincia Autonoma di Bolzano (3,3%), Liguria (3,1%), Emilia-Romagna (2,8%) e Marche (2,7%). Il Veneto è all’1,9%, mentre otto regioni del Sud hanno un tasso di sieroprevalenza sotto all’1%, con la Sicilia e la Sardegna al livello minimo, entrambe allo 0,3%.
Nella diffusione degli anticorpi al Sars-CoV-2 nella popolazione non risultano differenze di genere. Uomini e donne sono stati colpiti nella stessa misura dal nuovo Coronavirus. Un dato che trova conferma dagli studi realizzati negli altri Paesi. Inoltre, per quanto riguarda le fasce di età la sieroprevalenza rimane stabile, sopra il 2%, al variare delle classi utilizzate, con il valore più alto, al 3,1%, nella classe 50-59 anni. Mentre per i bambini da 0 a 5 anni si registra il livello più basso a 1,3%. Basso anche quello degli ultra 85enni all’1,8%. In questi ultimi casi i dati si giustificano con il fatto che si tratta di due fasce di età normalmente più protette e quindi meno esposte al virus durante la pandemia.
L’indagine ha misurato il livello di sieroprevalenza anche per classi di lavoratori. Dalle analisi emerge che gli occupati nei settori essenziali e attivi durante l’epidemia hanno un tasso di sieroprevalenza del 2,8%, dunque non molto più elevato di quello della popolazione generale. Gli occupati in attività economiche sospese durante il lockdown hanno un tasso di sieroprevalenza del 2,7%. Dunque senza grandi differenze, sebbene questi dati richiedano ulteriori studi in merito.
Il dato di cui tenere conto, invece, è quello sui servizi di ristorazione e accoglienza, i cui lavoratori hanno un tasso di sieroprevalenza al 4,2%. I dati di sieroprevalenza dei non occupati, invece sono: 2,1% per le casalinghe, 2,6% per i ritirati dal lavoro, 2,2% studenti e 1,9% per le persone in cerca di lavoro.
I risultati dell’indagine confermano inoltre che aver avuto contatti con persone affette dal virus aumenta la probabilità che si siano sviluppati anticorpi. In questo caso, infatti, la prevalenza sale al 16,4%. In Lombardia si arriva al 24%. I valori più alti riguardano i contatti con i familiari conviventi infettati da SARS-CoV-2 , che hanno portato alla sviluppo di anticorpi nel 41,7% dei casi. Il tasso di sieroprevalenza scende al 15,9% se il familiare non risulta convivente, ma resta comunque largamente superiore al valore medio dell’intera popolazione (2,5%).
Il tasso di sieroprevalenza, inoltre, aumenta in modo sostanziale, all’11,6%, quando vi siano stati contatti con colleghi di lavoro affetti dal virus o con pazienti infetti, in questo caso al 12,1%.
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Il rapporto sottolinea che anche in presenza di una stretta convivenza con persone affette da virus non è detto che necessariamente si generi il contagio – come appunto è accaduto in più della metà dei casi – purché vengano osservate scrupolosamente le regole di protezione consigliate.
Infine, rilevante è il dato sugli asintomatici, che sono quasi il 30% delle persone che hanno sviluppato anticorpi al Sars-Cov-2. La percentuale di asintomatici è molto importante, perché – si legge nel rapporto – evidenzia quanto ampia sia la quota di popolazione che può contribuire alla diffusione del virus. Quindi quanta attenzione ciascun cittadino deve porre alla scrupolosa applicazione delle misure basilari di sicurezza a difesa di sé stesso e degli altri.
Dall’indagine di sieroprevalenza risulta che il 27,3% delle persone che ha sviluppato anticorpi non ha avuto alcun sintomo. Un dato elevato che dimostra quanto sia importante l’identificazione immediata delle persone affette dall’infezione e di tutti gli individui con cui, a loro volta, sono entrate in contatto.
Le persone sintomatiche che hanno sviluppato anticorpi, invece, si distinguono tra coloro che hanno avuto uno o due sintomi, esclusa la perdita dell’olfatto e o del gusto, che sono il 24,7% e coloro che hanno avuto almeno tre sintomi, inclusa la perdita dell’olfatto e o del gusto, che sono il 41,5%.
I sintomi più diffusi tra le persone con uno o due sono: febbre nel 27,8% dei casi, la tosse nel 21,6%, il mal di testa 19,2%. I sintomi più diffusi delle persone con almeno tre sono: febbre 68,3%, perdita di gusto 60,3%, sindrome influenzale 56,6%, perdita di olfatto 54,6%, stanchezza 54,6%, dolori muscolari 48,4%, tosse 48,1%, mal di testa 42,5%. Perdita dell’olfatto e del gusto si rivelano sintomi importanti.
Maggiori informazioni sull’indagine di sieroprevalenza sul sito web dell’Istat.
Un altro studio importante è il rapporto Istat-Iss sull’impatto dell’epidemia di Covid-19 sulla mortalità che ha dimostrato che 9 decessi su 10 di persone positive al Coronavirus sono stati causati direttamente dal virus e non da altre patologie concomitanti.
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