L’universo scuola si sta impoverendo o rimane un’entità irrinunciabile per la sua importanza? Alcune riflessioni sulla scuola che non educa secondo un esperto.
Quando si parla della scuola è inevitabile trovare chi rimane deluso da quello che questa istituzione dovrebbe offrire, in termini di attività, di abilità del bambino che si palesano e si fortificano all’interno di una struttura ben organizzata, in termini non solo di istruzione, come mere informazioni fornite senza tanto entusiasmo dai docenti. Alcune riflessioni.
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Secondo Galimberti, filosofo, sociologo e psicoanalista “A scuola non si fanno più i temi in classe, con i quali invece salterebbe fuori la soggettività della persona. Si fa le comprensione del testo scritto, che è una prestazione. Si va a guardare se un ragazzo ha una competenza linguistica, però chi sia, questo studente, non interessa più a nessuno. Dobbiamo dire con forza che la scuola non educa. E che la soggettività non conta proprio niente”. Come dargli torto?
La scuola educa davvero? Alcune riflessioni
Quello che si desidera davvero è che accanto all’istruzione ci sia l’ intento di entusiasmarli per le cose del mondo e quindi il lavoro sul bambino è quello di fargli scoprire il suo talento nascosto che aspetta solo di essere adeguatamente stimolato. Per fortuna ci sono ancora docenti che nonostante il lassismo dilagante e il disordine vigente riescono a entrare nel cuore di questi ragazzi dimostrando che al contrario dell’autorità, l’autorevolezza è il sottile ma potente mezzo per entrare in comunicazione con l’altro.
La storia della scuola ha mille risvolti anche sul metodo didattico da scegliere per essere assertivi con i ragazzi, ma leggendo tra le pagine della storia stessa si rimane basiti dai metodi didattici e non. Accanto a questi esempi però ritroviamo personalità che hanno rivoluzionato, almeno in passato, il metodo di educare i ragazzi. Perché è questo che alla fine tutti, o quasi, vogliono che avvenga: un’istituzione che prepari adeguatamente i ragazzi ad affrontare il mondo con i loro talenti palesati dall’opera metodica ed entusiasmante che dovrebbe avvenire nelle aule della scuola.
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L’universo scuola deve dare risposte concrete: non è vero che, tranne qualche eccezione, i ragazzi sono svogliati e non sono interessati ai contenuti scolastici. Sono bramosi di conoscenza, pieni di passione e curiosità su quello che accade fuori di loro e dentro di loro e quando trovano un insegnante o un’istituzione che dà respiro alla risposte impetuose che hanno dentro di loro un talento prende forma e l’insegnante diventa un mentore per questi ragazzi, perché altrimenti le risposte le andranno a cercare fuori, in luoghi oscuri, deturpandoli e spegnendo quella luce che aspettava di ardere come fuoco.
Un altro problema che riguarda questo universo è la costante ed eterna guerra tra la scuola e un’altra istituzione: la famiglia. Questo perché invece di comprendere che non è la competizione il modus agendi per avvicinarsi l’uno all’altra rimangono invischiati in inutili quanto sterili discussioni: su chi ha ragione o torto, sul fatto che i genitori sono troppo intrusivi e non permettono all’insegnante di realizzare il progetto che hanno pensato per i ragazzi. D’altro canto anche i genitori dei ragazzi hanno un serie ben fornita di lamentele: insegnanti che fanno preferenze e quindi esiste il gruppo elitario di studenti scelti con un metodi discutibili e gli altri lasciati in balia di se stessi, solo perché diversi, più difficili, o perché provengono da realtà difficili e proprio lì nella scuola dove dovrebbero trovare accoglienza e sensibilità trovano un doloroso rifiuto. Dov’è l’accoglienza? La formazione?
Scuola e Famiglia viaggiano insieme perché sono complementari. La vera vittoria è un lavoro in cui entrambe cercano di comprendersi, di aiutarsi a vicenda, di discutere i problemi senza pregiudizi né stereotipi. Un lavoro di equipe in un cui ognuno mette il meglio di sé per indirizzare i ragazzi verso ciò che li potrebbe appassionare, verso la loro realizzazione migliore.
E’ questo ciò che ci auguriamo accada sempre più spesso. Ma questo presuppone una conversione di intenti da ambo le parti. Serve una scossa che svegli dal sonno entrambe le parti, serve umiltà, la capacità di ammettere di aver sbagliato, una comunicazione efficace, l’ascolto attivo, e soprattutto il rispetto dei ruoli: l’insegnante è chiamato a ricoprire un ruolo diverso dal genitore ed entrambi sono, complementari. E’ una bella sfida.
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Care unimamme, per quanto mi riguarda sono positiva e i cambiamenti sperati avverranno. Voi cosa ne pensate di queste riflessioni sulla scuola e sul pensiero di Galimberti?
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