L’affidamento condiviso è una pratica a cui molti genitori, in via di separazione, ricorrono per tutelare il benessere dei loro figli. Ma che cos’è?
Il momento della separazione è uno dei periodi più complicati per una famiglia, soprattutto quando ci sono dei bambini in mezzo.
Le incomprensioni tra genitori possono essere tali e tanto forti che spesso ricadono su questi i quali possono incorrere in problemi psicologici perché si sentono causa della loro separazione, magari per qualche comportamento o azione sbagliata fatta in passato.
In questi casi sarebbe sempre bene non coinvolgere i piccoli nelle liti e tenerli il più lontano possibile.
Certo non è sempre facile, ma ciò può riscuotere dei benefici proprio per il futuro.
Un’opzione che molti genitori accolgono dopo la separazione è quella dell’affidamento congiunto, cioè entrambi i genitori mantengono la potestà genitoriale e insieme prendono decisioni importanti per la vita dei propri figli: quali scuole, visite mediche, università, ecc.
La legge che regola tale istituto è la 50 del 2006 in cui il legislatore ha stabilito che entrambi i genitori prendono qualsiasi decisione in modo condiviso nei campi più importanti della vita dei bambini, il tutto ovviamente tenendo in mente le inclinazioni dei propri figli soprattutto in ambito scolastico.
Solo per questioni meno importanti è possibile non consultare l’ex partner come ad esempio se mandare a casa dei nonni il bambino o a casa di un amichetto dopo la scuola.
Ma l’affidamento condiviso non va scambiato per l’affidamento alternato o congiunto perché in questo caso il collocamento fisico del minore non è in entrambe le case, ma solitamente è disposto presso l’abitazione di uno solo dei genitori.
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Di conseguenza questo comporta che uno dei due genitori avrà meno tempo a dispozione da trascorrere con il proprio figlio.
Il tutto viene fatto per assicurare al bambino un principale punto di riferimento e non sconvolgere troppo le sue abitudini.
È impensabile che nel corso della settimana possa alternare giorni diversi da un genitore all’altro, anche perché spesso capita che i due vivano molto lontani e questo implicherebbe complicazioni sugli spostamenti per la scuola o altre attività.
Quindi nel momento in cui si decide per l’affidamento condiviso i genitori sono obbligati a decidere dove il bambino abiterà e, spesso, per non amplificare i cambiamenti, si opta per la casa in cui ha vissuto insieme alla famiglia. Ecco come si è pronunciata la Cassazione nel 2017, come si legge sul sito Diritto.it:
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“Per residenza abituale deve intendersi il luogo dove il minore trovi e riconosce, anche grazie a una permanenza tendenzialmente stabile, il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della vita di relazione. In altri termini la residenza abituale corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare”.
Insomma l’obiettivo è quello di tutelare il più possibile il minore o minori, ovviando che gli equilibri fino ad adesso vissuti non vengano del tutto distrutti.
Ciò viene fatto nel nome del buon senso e della razionalità, evitando che i piccoli, in base a delle decisioni prese dai loro genitori, possano sentirsi responsabili di quello che stanno vivendo.
Per quanto riguarda, invece, il tempo che il minore trascorrerà con il genitore non convivente questo viene stabilito di caso in caso in base agli impegni lavorativi dei genitori e a quelli dei bambini.
Dunque per l’affido condiviso, come si è visto anche per l’adozione e l’affidamento in generale, l’obiettivo è quello di tutelare il più possibile i minori coinvolti, in modo tale che in futuro i minori coinvolti possano risentire di problematiche o disagi causati dalla separazione.
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E voi Unimamme conoscevate l’affido condiviso?
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