Il caso dei neonati morti a Verona: il batterio killer trovato anche nei biberon.
Nuove inquietanti elementi emergono dall‘inchiesta sui neonati morti in ospedale a Verona per un’infezione batterica. A quanto risulta sembrerebbe che il batterio Citrobacter koseri responsabile dell’infezione di 96 neonati, di cui 4 morti, nell’Ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento di Verona, avrebbe contaminato anche i biberon usati per allattare i piccoli.
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Una vicenda che sta per far scoppiare uno vero e proprio scandalo sanitario di cui sentiremo parlare per anni, perché fatti del genere non accadono accidentalmente ma in presenza di gravi responsabilità e negligenze. Nel frattempo la Procura di Verona ha aperto un fascicolo di indagine contro ignoti.
La commissione esterna di esperti, incaricati dalla regione Veneto per fare chiarezza sul caso dei neonati morti per infezione batterica in ospedale a Verona, avrebbe scoperto non solo che il batterio killer Citrobacter koseri era nel rubinetto del lavandino della terapia intensiva neonatale, come abbiamo riferito ieri, ma anche che tracce dello stesso batterio sarebbero finite nei biberon usati in reparto. Da qui l’origine del contagio dei 96 neonati, con la morte di 4 di loro mentre altri 9 hanno subito gravissime lesioni permanenti, rimanendo cerebrolesi. Le piccole vittime sono i bambini più fragili, purtroppo morti nell’ospedale che avrebbe dovuto avere cura di loro.
Scarsa igiene e procedure scorrette sarebbero la causa dell’infezione batterica letale, secondo gli esperti della commissione esterna guidati dal prof. Vincenzo Baldo, ordinario di Igiene e Sanità pubblica all’Università di Padova. Siamo ancora nel campo delle ipotesi e il condizionale è d’obbligo ma gli elementi che stanno venendo fuori da questo caso sono sconcertanti.
Di certo al momento c’è che il pericolosissimo batterio è stato trovato nel rubinetto del lavandino della terapia intensiva neonatale dell’Ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento. Come scrive la relazione della commissione esterna, il Citrobacter koseri è stato trovato sui “rompigetto di alcuni rubinetti e sulle superfici interne ed esterne dei biberon“, riporta il quotidiano La Stampa citando la relazione stessa. La presenza del batterio killer nel rubinetto deve aver contaminato l’acqua, a sua volta l’acqua contaminata è stata impiegata per gli usi del reparto e probabilmente anche per riempire i biberon da dare ai piccoli.
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Quando viene usata acqua per diluire in latte in polvere da dare ai neonati non va utilizzata acqua di rubinetto e nel caso deve essere sterilizzata. Cosa sia accaduto di preciso nel reparto di terapia intensiva neonatale è da verificare. Gli elementi che stanno emergendo aprono tuttavia uno scenario di gravi responsabilità. Anche perché era una situazione che durava da un paio di anni. La prima vittima uccisa dal batterio killer è Leonardo, un neonato morto a fine 2018. Nel 2019 è morta la piccola Nina, era nata l’11 aprile ed è morta il 18 novembre dello stesso anno. Gli ultimi due decessi sono più recenti, sono avvenuti quest’anno: Tommaso, morto lo scorso marzo, e Alice, il 16 agosto. Ci sono poi i neonati che hanno riportato danni permanenti al cervello.
Il caso è scoppiato a seguito della denuncia di una madre, Francesca Frezza, mamma di Nina. La donna ha presentato denuncia alla Procura di Verona quando ha saputo, a seguito dell’autopsia sulla figlia, che la sua bambina era morta a causa di un’infezione batterica, contratta in ospedale. La Procura ha aperto un fascicolo di indagine a carico di ignoti, al momento. Mentre la Regione Veneto ha incaricato due commissioni di svolgere accertamenti nei reparti coinvolti dell’ospedale di Borgo Trento: la commissione esterna, coordinata dal professor Baldo, che ha presentato la sua relazione, e un’altra commissione formata da membri interni all’amministrazione regionale. La relazione della commissione esterna è stata inviata alla Procura.
I primi casi di infezione da Citrobacter koseri nell’ospedale di Verona risalgono a novembre 2018 e dalle analisi sui campioni prelevati da pazienti infetti risulta la “presenza di un cluster epidemico“. Una situazione che tuttavia non è stata comunicata alla Regione Veneto. “Nessun episodio è stato considerato meritevole di essere segnalato come evento sentinella”, si legge nella relazione della commissione esterna.
Dalle indagini è emerso anche che nella terapia intensiva neonatale e in quella pediatrica la presenza di soluzione alcolica per l’igiene delle mani era inferiore agli standard minimi fissati dall’Oms, che sono di 20 litri ogni 1.000 giornate di degenza.
Nel frattempo, ha riaperto ieri il reparto di Ostetricia – Punto nascite, Terapia intensiva neonatale e Terapia intensiva pediatrica che era stato chiuso il 12 giugno scorso dal direttore generale dell’Aou veronese, Francesco Cobello.
Il batterio Citrobacter, responsabile della morte dei neonati in ospedale a Verona, appartiene alla famiglia delle Enterobacteriaceae, che potenzialmente possono essere molto dannosi e sono tra le prime cause di morte per infezioni ospedaliere a causa della resistenza agli antibiotici. Si tratta di un batterio di recente scoperta, ancora poco conosciuto, che tendenzialmente è poco pericoloso, come riferiscono gli esperti, ma che in condizioni particolari e in pazienti fragili, anziani e neonati, e immunodepressi può essere mortale. Il Citrobacter attraverso il sangue può raggiungere il cervello, causando la morte del paziente o danni gravi e irreversibili. Quando il batterio arriva al cervello, la mortalità è del 30%.
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