Fare i compiti a casa con i propri figli può trasformarsi in una vera e propria battaglia: ecco 3 errori che fanno quasi tutti i genitori.
Noi genitori amiamo i nostri figli incondizionatamente, anche quando gli insegnanti ci dicono che non si applicano a scuola o quando tornano a casa con un brutto voto e li amiamo anche quando passiamo infiniti pomeriggi a discutere con loro a causa dei compiti a casa. Probabilmente facciamo degli errori nel nostro approccio educativo, vediamo insieme quali sono.
Sono molti i genitori che si rivolgono a terapeuti, per avere una mano ad affrontare i compiti a casa con i loro figli. I problemi dei genitori possono essere svariati: c’è il ragazzino che non mette la minima cura in quello che fa, quello che in classe è presente solo fisicamente ma con la testa spesso è altrove, quello che si distrae continuamente o quello che è stato scoraggiato da un insegnante, purtroppo anche se le dinamiche sono infinite spesso in tutti questi casi, si finisce per litigare.
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Nel libro di Shefali Tsabary “zero disciplina”, l’autrice, psicologa clinica con alle spalle anni di esperienza sul campo con genitori esasperati e figli demotivati per via dei compiti a casa, cerca di trovare un metodo educativo per aiutare i genitori a crescere i figli in armonia con loro.
L’autrice nel capitolo “evitate le battaglie sui compiti scolastici” affronta proprio questo discorso. Vediamo quali sono gli errori che molti genitori fanno in queste situazioni.
3 errori che fanno i genitori con i compiti a casa dei loro figli
1. Interferire eccessivamente con atteggiamento giudicante:
per capire bene l’errore, l’autrice fa un esempio nel suo libro: Audrey e Mike sono mamma e figlio. Mentre Mike fa i compiti, Audrey arriva e controlla quello che sta facendo, iniziando ad aggredirlo verbalmente. Queste sono le frasi che rivolge Audrey a Mike:
-
- “stai sbagliando tutto“
- “sei talmente pigro vuoi prendere sempre la strada più facile“.
Mike reagisce perdendo il controllo:
- urla
- chiude i libri
- non vuole più studiare
Secondo l’autrice se ti riconosci in Audrey stai sbagliando approccio: non sei il suo insegnante nessuno ti ha chiesto di farlo. Anche se probabilmente le tue intenzioni sono buone, non va bene comportarsi in questo modo: può essere controproducente demotivando tuo figlio e può minare la sua fiducia in se stesso.
Soluzione: permetti a tuo figlio di
- studiare autonomamente
- di poter sbagliare da solo
- imparare ad autoregolarsi
Cerca di aiutare tuo figlio a capire cosa prova nei confronti del lavoro che ha svolto, se ne è soddisfatto o se ritiene che ci sia spazio per un miglioramento: ma deve essere lui a guidare il proprio destino a scuola, come dice l’autrice. Quindi meglio sempre aspettare che sia lui a chiedere aiuto, o capire come aiutarlo facendogli delle domande e rimanendo pazienti e compassionevoli, senza farlo sentire giudicato.
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2. Identificare tuo figlio con i suoi voti:
È importante che nostro figlio si senta sempre amato. E’ sbagliato che il valore di nostro figlio dipenda dai suoi risultati scolastici. Questo è quello che succede nel mondo del lavoro ma la scuola dovrebbe essere diversa. Questo atteggiamento genera nei nostri figli una
- forte ansia da prestazione
- la paura di non essere abbastanza bravi da meritare apprezzamenti
- talvolta anche la paura di non meritare il nostro amore per quello che sono, una sensazione davvero spiacevole
La soluzione è evitare di parlare sempre di voti e dimostrarsi troppo interessati al rendimento di nostro figlio, come se non ci fosse altro che conti per noi. Come spiega l’autrice meglio evitare quando tuo figlio torna da scuola domande del tipo:
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- “com’è andata la verifica?“
- “che voto hai preso?”
Meglio chiedere come si sente e come è andata la sua giornata. È bene che nostro figlio sappia che per noi è più importante il suo benessere del rendimento scolastico.
Come afferma l’autrice “sono meno interessata alla posizione di mia figlia nella classifica del profitto della sua classe che non della sua crescita come individuo dalle molte sfaccettature. È, naturalmente, non credo affatto che i suoi voti si riflettano su di me”.
3. Imporre lo studio anziché incentivare la curiosità naturale di tuo figlio:
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- Incentivare la competizione nei bambini non porterà ai frutti sperati, la pressione produce ansia e il loro rendimento ne risente
- Minacciare punizioni per far studiare i bambini
- cercare di inculcare nella loro testa la motivazione a studiare con la disciplina e il controllo
Tutte questi comportamenti acuiscono i problemi già esistenti, facendo sentire il bambino inadeguato e impotente.
Soluzione:
- i bambini sono curiosi per natura è la loro indole: vogliono stupirsi e meravigliarsi e questa è una cosa davvero stupenda
- rifiutano di studiare perché hanno perso il piacere di farlo, non lo vivono più come una possibilità di arricchimento ma solo come un’imposizione esterna artificiosa.
Meglio
- puntare sulla curiosità naturale di nostro figlio
- incoraggiarlo a studiare per il piacere di scoprire nuove cose
- per essere più consapevole di sé stesso e del mondo
- fagli capire che non ti interessa se lui eccelle in tutte le materie ma quello che ti interessa e che scopra le sue inclinazioni naturali in modo che un giorno potrà trovare la sua strada per seguire la sua felicità.
Quello che interessa davvero noi genitori infatti è che nostro figlio sia felice e in pace con se stesso .I nostri figli hanno una connessione innata con la vita e secondo l’autrice bisogna approfittare di questo e spingere la loro curiosità in modo che possa sviluppare le proprie inclinazioni senza dover seguire curricula prestabiliti.
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