Omicidio Vannini: nel processo di appello bis chieste severe condanne per tutti i componenti della famiglia Ciontoli.
Si è aperto il processo di appello bis per l’uccisione di Marco Vannini, il 20enne della provincia di Roma morto a Ladispoli nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2015, dopo essere stato raggiunto da un colo di pistola mentre era nella casa dei genitori della sua fidanzata, Martina Ciontoli.
Secondo le ricostruzioni del fatto e per ammissione del suo stesso esecutore, a sparare fu Antonio Ciontoli, padre di Martina. L’uomo ha sempre sostenuto che il colpo di pistola partì per sbaglio. Marco morì dopo una lunga attesa, prima che la famiglia Ciontoli, presente in casa al momento dello sparo, chiamasse i soccorsi.
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La vicenda processuale è andata avanti in questi anni tra colpi di scena e sentenze dolorose per la famiglia Vannini. Marina Conte, la mamma di Marco, si è battuta come una leonessa affinché il figlio avesse giustizia.
Lo scorso 7 febbraio, la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza del processo di appello, pronunciata nel 2019 dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma, che aveva condannato Antonio Ciontoli alla pena di 5 anni di reclusione per omicidio colposo. Una pena fortemente ridotta rispetto ai 14 anni a cui era stato condannato nel processo di primo grado. Mentre per i suoi familiari, la moglie Maria Pezzillo e i figli Federico e Martina, fidanzata di Marco, era stata confermata la condanna a 3 anni del primo grado. La fidanzata di Federico, Viola Giorgini era stata assolta in entrambi i processi
La Cassazione ha annullato la sentenza di appello, accogliendo il ricorso del pg Elisabetta Ceniccola e disponendo che il processo fosse da rifare riguardo alla condanna di Antonio Ciontoli, perché il suo comportamento non può definirsi semplicemente colposo ma per la morte di Marco va riconosciuto il reato di omicidio volontario con dolo eventuale.
Ora nel nuovo processo di appello è arrivata la richiesta di condanne per la famiglia Ciontoli.
Nel processo di appello bis per l’omicidio di Marco Vannini, davanti a una nuova sezione della Corte di Assise d’Appello di Roma, il sostituto procuratore generale Vincenzo Saveriano ha chiesto una condanna a 14 di reclusione per Antonio Ciontoli e tutta la sua famiglia: la moglie Maria Pezzillo e i due figli Martina e Federico. Le condanne sono state chieste per il reato di concorso in omicidio volontario con dolo eventuale per la morte di Marco, avvenuta la notte tra il 17 e il 18 maggio del 2015 a Ladispoli.
In mancanza della condanna di tutti i Ciontoli a 14 anni, il sostituto procuratore ha chiesto in subordine la condanna a 9 anni e 4 mesi di reclusione per il reato di concorso anomalo soltanto per i familiari del principale imputato, Antonio Ciontoli, per il quale resta ferma la richiesta di condanna a 14 anni. La decisione ora è rimessa alla Corte d’Appello.
La posizione dei Ciontoli, dunque, si aggrava e se al capo famiglia può essere confermata la pena comminata in primo grado, che fu sempre di 14 anni di reclusione per omicidio volontario, sono la moglie e i figli che rischiano di vedere triplicata la loro pena se le richieste dell’accusa saranno accolte dalla Corte.
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La sera del 17 maggio 2015, Marco Vannini, giovane di 20 anni della provincia di Roma, si trovava a casa dei genitori della fidanzata Martina Ciontoli a Ladispoli. Erano in casa: la coppia di fidanzati, Marco e Martina, i genitori di lei, Antonio Ciontoli e Maria Pezzillo, con il figlio Federico, fratello di Martina, e la sua fidanzata, Viola Giorgini. Per motivi che non sono stati mai veramente chiariti, quella sera Marco veniva ferito da un colpo di arma da fuoco sparato da Antonio Ciontoli, sottufficiale della Marina Militare, con la sua pistola d’ordinanza. Ciontoli ha ammesso di aver sparato a Marco solo nel momento in cui il ragazzo stava morendo in ospedale, mentre i medici senza riuscire a capire cosa avesse cercavano di salvargli la vita. Il militare aveva detto che si era trattato di un incidente, che il colpo era partito per sbaglio mentre mostrava la pistola a Marco.
Il ragazzo era arrivato al pronto soccorso con grande ritardo, solo diverse ore dal momento in cui era stato colpito. La famiglia Ciontoli, presente in casa, non aveva chiamato subito i soccorsi ma per prima cosa aveva lavato Marco, cancellando le tracce di sangue. Il proiettile aveva lasciato solo un piccolo foro sotto la spalla destra di Marco ed era uscito, senza lasciare una ferita evidente. Per questo motivi i soccorritori non hanno capito subito cosa avesse. I Ciontoli dopo aver lavato Marco gli avevano cambiato i vestiti. Quando la situazione stava peggiorando, perché il ragazzo non si riprendeva, hanno chiamato il 118 ma senza rivelare cosa fosse accaduto realmente. All’operatrice del numero di emergenza hanno detto che un ragazzo si era preso uno spavento per uno scherzo ed era caduto su un pettine appuntito, provocandosi un “buchino” come ferita. Il suo era più uno spavento che un trauma fisico.
Quando le condizioni di Marco si sono aggravate, però, i Ciontoli sono stati costretti a chiamare di nuovo il 118 ma, anche in questo caso, senza dire ai soccorritori cosa fosse accaduto. Hanno chiamato un’ambulanza per un semplice un malore. Circostanza che ha fatto perdere ulteriore tempo, dopo le ore di attesa prima di chiamare i soccorsi, e che soprattutto non ha permesso che arrivasse un’ambulanza attrezzata per l’emergenza che la gravità del caso richiedeva. Al pronto soccorso, solo dopo molte insistenze dei medici Antonio Ciontoli ha ammesso quello che era veramente successo in casa sua quella sera.
Proprio alla luce di questo comportamento, la condotta di Antonio Ciontoli non può rientrare nell’omicidio colposo. Come ha scritto la Corte di Cassazione nelle motivazioni della sua sentenza, “la morte di Marco Vannini sopraggiunse“ dopo il colpo di pistola “ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli“, che “rimase inerte ostacolando i soccorsi“, e fu “la conseguenza sia delle lesioni causate dallo sparo che della mancanza di soccorsi che, certamente, se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato l’effetto infausto“.
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