Come funziona l’affido intrafamiliare e quali sono le sorti del bambino che viene introdotto in questa pratica? Ecco tutto ciò che bisogna sapere.
I percorsi dell’affido e dell’adozione sono volti a fare sì che il minore riesca a trovare nel breve tempo possibile una famiglia che possa prenderlo a carico e occuparsi di lui.
Il tutto viene fatto per garantire al piccolo un futuro simile a quello degli altri bambini. Come si è visto in un articolo precedente, per prendere in affido un minore, le pratiche sono decisamente più accessibili rispetto a quelle dell’adozione.
Per l’affidamento non è necessario essere sposati e nemmeno dimostrare di convivere da più di tre anni con il proprio partner, ma anche i single possono intraprendere questo percorso.
Certo con l’affido, a differenza dell’adozione, il minore deve rimanere con la famiglia che lo ospita solo per un periodo limitato, finché la famiglia di origine non dimostra di essere in grado di prendersi cura del piccolo, ma ci sono situazioni in cui è impossibile garantire questo percorso è il bambino rimane come sospeso.
In ogni caso, tutte le famiglie che intraprendono questo percorso si dicono felici dell’esperienza e di quello che hanno vissuto.
Certo, la parte difficile – cioè quella della separazione – è un duro colpo da superare, ma sono tante le famiglie affidatarie che rimangono in contatto con i propri ragazzi.
Inoltre ci sono molti volti noti del mondo dello spettacolo, come Maria De Filippi e Luciana Littizzetto, che hanno intrapreso questo percorso e grazie al quale sono riusciti a creare una bellissima famiglia. L’esperienza della Littizzetto è di grande esempio.
Ma che cos’è l’affido intrafamiliare e come funziona?
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Per intrafamiliare si intende quando il bambino viene affidato all’interno della stessa famiglia fino al IV grado di parentela. Questo tipo di percorso può essere intrapreso dagli stessi genitori del minore che trovano una sistemazione al proprio figlio in casa dei nonni, di alcuni zii o di altri parenti.
Ovviamente il tutto viene seguito dagli assistenti sociali che devono valutare se i parenti scelti dai genitori siano in grado di prendersi cura del minore e assicurargli il necessario per la crescita.
Se questi ritengono che l’ambiente scelto dalla famiglia di origine sia consono per il bambino allora daranno il loro consenso, in caso contrario, invece, si procederà con l’affido eterofamiliare, cioè cercando altre famiglie più appropriate per garantire una crescita adeguata al bambino.
Tuttavia essere affidato all’interno della propria cerchia familiare ha alcune “potenzialità protettive” in base ad alcune ricerche e studi.
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Si sostiene, infatti, ch questo gli permetta di mantenere le sue radici, il legame affettivo con la sua famiglia, con i parenti e anche con gli amici. Evita che il minore possa essere collocato in varie famiglie e che veda la sua vita radicalmente cambiata da un giorno all’altro.
Insomma l’affido intrafamiliare permette al bambino di non venire sdradicato dalle sue abitudini e dalle sue origini, consentendogli in un modo o nell’altro di mantenere la sua vita intatta.
Certo allo stesso tempo però il minore potrebbe sentire ancora di più il distacco dalla sua famiglia di origine e non capire del tutto le motivazioni che hanno portato i genitori a compiere questo gesto.
Purtroppo sia per l’affido intrafamiliare sia per quello eterofamiliare ci sono dei pro e dei contro che vanno giustamente valutati sempre al fine di garantire al minore la migliore sitemazione possibile.
In entrame le situazioni, l’unica cosa che conta è il bene del bambino che ha bisogno di sentirsi al sicuro e protetto in modo tale che non si senta diverso dagli altri bambini, ma che sia consapevole di avere le loro stesse opportunità e possibilità di vita.
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E voi unimamme eravate a conoscenza dell’affido intrafamiliare?
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