Coronavirus ed inquinamento uno studio italiano ha dimostrato definitivamente il legame. I ricercatori hanno isolato tracce di Rna virale diversi campioni.
La società italiana di medicina ambientale, la Sima, ha pubblicato uno studio sul “British Medical Journal” che conferma la relazione tra la diffusione del coronavirus e l’inquinamento atmosferico in Pianura Padana.
Già qualche mese fa aveva anticipato un collegamento tra i due fattori, ma adesso, dopo 7 mesi di accurata peer-review da parte della comunità scientifica internazionale, ne da la conferma.
Coronavirus ed inquinamento: il forte legame dimostrato da uno studio
E’ ben noto che l’inquinamento atmosferico sia uno dei principali fattori di rischio ambientale per la salute umana. Adesso, l’ultima revisione di uno studio molto importante e tutto italiano ha dimostrato come l’inquinamento atmosferico abbia contribuito alla diffusione del coronavirus nel nostro Paese. Come ben sappiamo, i casi maggiori all’inizio della pandemia erano localizzati nelle città della Pianura Padana.
Già a marzo gli esperti avevano sensibilizzato il Governo su questo argomento, come spiega il il professor Alessandro Miani, Presidente della Sima: “Ci siamo sentiti in dovere di avvertire i decisori politici, nel pieno dell’emergenza COVID, che la distanza di sicurezza di 2 metri (ridotta a 1 metro per gli ambienti indoor dal CTS governativo) non fosse sufficiente a garantire la sicurezza e che era necessario obbligare all’uso della mascherina tutti i cittadini in ogni luogo aperto al pubblico in un momento in cui si stava ancora discutendo dell’efficacia dei dispositivi di protezione individuale“.
Adesso al prova definitiva: “Abbiamo ottenuto la prova definitiva dell’interazione tra particolato atmosferico e virus quando siamo riusciti a isolare tracce di RNA virale in campioni provenienti dai filtri di raccolta del particolato atmosferico prelevati nella provincia di Bergamo durante l’ultima serie di picchi di sforamento di PM10 avvenuta a fine febbraio, quando le curve di contagio hanno avuto un’improvvisa accelerata facendoci precipitare nell’emergenza sanitaria culminata con il lockdown“, spiega il professor Leonardo Setti, docente di Biochimica Industriale all’Alma Mater di Bologna e membro del comitato scientifico Sima.
Purtroppo la qualità dell’aria nella Pianura Padana non è ottima sopratutto in inverno, quando, come spiegano gli esperti, può essere assimilata ad “un ambiente indoor con il soffitto di qualche decina di metri, dove in presenza di una grande circolazione virale le condizioni di stabilità atmosferica, il tasso di umidità e la scarsa ventilazione hanno di fatto aperto al Coronavirus delle vere e proprie ‘autostradè“.
Il professore Prisco Piscitelli ha fornito i dettagli dello studio: “Abbiamo analizzato il numero di sforamenti per il PM10 sopra i 50 g/m3 per tutte le Province italiane, considerando il numero di centraline installate, la numerosità e densità della popolazione, oltre al numero medio di pendolari giornalieri e turisti“.
I dati che sono stati presi in considerazione fanno riferimento al periodo che va dal 9 al 29 Febbraio e su 41 province del nord analizzate, 39 si collocavano nella categoria di massima frequenza di sforamenti, mentre 62 province meridionali su 66 si situavano ai livelli più bassi di inquinamento atmosferico.
L’esperto conclude: “Complessivamente, gli sforamenti di PM10 si rivelavano un significativo fattore predittivo di infezione da COVID-19, potendo spiegare la diversa velocità di propagazione del virus nelle 110 Province italiane“.
Lo studio italiano è confermato anche da altri studi internazionali nei quali si osserva lo stesso fenomeno. Il Presidente della Sima conclude affermando che lo studio non deve spaventare, ma essere preso come punto di partenza per cercare di tutelare la salute umana, abbandonando dei vecchi sistemi, come i combustibili fossili, e pensando a soluzioni green per ridurre l’impatto dell’uomo sull’ambiente.
Voi unimamme cosa ne pensate? speriamo che venga fatto qualcosa per ridurre l’inquinamento ambientale.