Il numero di morti in utero nel 2019: i dati nel mondo che preoccupano

Il numero di morti in utero e per il parto nel 2019 sono un dato che preoccupa molto. Le zone più colpite sono quelle meno ricche.

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immagine da adobestock

Si stima che nel mondo ogni 16 secondi nasca un bambino morto e tantissimi sono quelli che ancora muoiono nelle prime ore o settimane di vita

Le morti in utero e durante il parto sono ancora troppe

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Nonostante i progressi della medicina e l’attenzione alla salute della donna durante la gravidanza, ci sono zone del mondo che ancora soffrono la piaga delle morti in utero.

Per bambini nati morti si considerano quelli delle gravidanze oltre le 28 settimane, secondo la definizione dell’OMS. Questi dati allarmanti sono il risultato delle indagini del primo rapporto ufficiale Unicef, OMS, ONU e Banca Mondiale.

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Le morti in utero colpiscono soprattutto le donne delle zone più povere e delle zone rurali. Questo si deve sicuramente alla disinformazione delle donne di queste zone durante la gravidanza e alla mancanza quindi di cure adeguate durante la gestazione, ma si stima che il 40% delle morti avvenga ancora durante il travaglio e il parto.

Nel mondo l’Africa e l’Asia meridionale sono le più colpite, in Italia e nei paesi ad alto reddito invece sembrano essere le donne delle classi più svantaggiate e delle minoranze quelle a maggior rischio di morte in utero e durante il parto, perché non seguite adeguatamente sia durante la gravidanza che durante il parto.

La situazione italiana è stata monitorata dall’ISS dal 2016 al 2019 in tre regioni, Lombardia, Toscana e Sicilia e dai dati emerge che la Toscana è la regione più virtuosa.

Il problema nel nostro paese sembra riguardare maggiormente:

  • le donne con cittadinanza straniera
  • e la procreazione medicalmente assistita.

Queste indagini hanno valutato anche i casi di morte intrapartum e ne è emerso che:

  • il distacco della placenta
  • e le infezioni intramniotiche sono le due cause principali di morte.

L’ISS ha quindi proposto una sorveglianza attiva e operativa di questa situazione, che preveda anche la collaborazione delle Regioni e che vada ad indagare su ogni singolo caso di morte perinatale, nell’ottica di migliorare l’assistenza e le cure mediche e ridurre la portata di questo problema nella sanità italiana.

La pandemia da Covid19 ha inoltre ridotto l’accesso all’assistenza sanitaria per tantissime donne, soprattutto quelle meno abbienti, e rischia quindi di essere un ulteriore fattore di rischio che potrebbe aumentare la portata del problema nella società, secondo l’allarme lanciato dall’Istituto Superiore di Sanità.

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Per combattere questo fenomeno l’informazione sembra essere l’arma migliore. Una donna bene informata sulla gravidanza infatti avrà maggiori probabilità di notare campanelli di allarme e quindi richiedere cure mediche adeguate durante la gestazione.

Importantissimo è:

  • fare attenzione ai movimenti fetali,
  • adottare comportamenti sani durante la gravidanza,
  • smettere di fumare e curare l’alimentazione per non incorrere in malattie come il diabete gestazionale,
  • fare gli esami del sangue previsti per ogni trimestre

Questi sono solo alcuni degli strumenti di prevenzione che la futura mamma può adottare per proteggere la sua salute e quella del bambino.

Anche il sistema sanitario nazionale deve prodigarsi affinché questa informazione arrivi al maggior numero di gestanti possibile, soprattutto nelle aree più povere e culturalmente più basse.

Ecco quindi che i corsi preparto, la medicina di prevenzione, i consultori sono strumenti indispensabili che bisogna mantenere e migliorare, soprattutto in questo periodo di limitata mobilità, anche attraverso il web, per consentire alle donne di informarsi e avere coscienza della propria gravidanza e delle trasformazioni del proprio corpo.

Le morti in utero colpiscono tantissime mamme e tantissime famiglie ogni anno, in Italia e nel mondo: più di 2 milioni nel 2019.

Al di là delle cure mediche di cui la mamma ha bisogno dopo un aborto o una morte in utero, il dramma psicologico per queste donne è ancora molto sottostimato. Secondo i dati ISS il 40 % delle morti avviene dopo la 37esima settimana di gestazione.

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Il dolore che una donna prova a mettere al mondo il proprio figlio già morto è un dolore straziante, che colpisce lei ma anche tutte le persone che le stanno intorno. Creare una rete di supporto per queste donne e queste famiglie e farli sentire meno soli, guidare il loro percorso di guarigione fisica e psicologica deve essere una priorità per il sistema sanitario ed è direttamente collegato al problema della morte in utero.

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Voi unimamme cosa ne pensate di questi dati allarmanti?

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