Walter Veltroni onora Gigi Proietti nel giorno del suo funerale a Roma.
Oggi a Roma si sono svolti i funerali di Gigi Proietti, morto il 2 novembre scorso. Tanti i personaggi del mondo dello spettacolo che l’hanno omaggiato.
Ecco che cosa ha raccontato Walter Veltroni.
“Farò nella mia mente la femmina e del mio spirito il maschio, i due daranno luogo a una generazione di pensieri che ne produrranno altri e altri ancora e tutti questi pensieri popoleranno questo angusto mondo di umori differenti come ha la gente del mondo, perché nessun pensiero è soddisfatto. Così recito in un solo personaggio la parte di molti e nessuno è contento”.
Queste parole del RIccardo II sono citate in un libro che con Gigi ci scambiammo tempo fa. S’intitolava Shakespeare politico. Nessun pensiero e l’apologia del dubbio, del viaggio, della scoperta dell’inconosciuto, i pensieri come entità che si riproducono, uno incontrando l’altro, coprendo la rivelazione della sua differenza. Forse è questo il senso ultimo della magnifica vita di Luigi Proietti, in arte Gigi, autore, cantante, fantastista, regista, clown, amico. “Quanto stupore e quanto dolore può creare nel cuore di milioni di persone l’uscita di scena di un attore? L’Italia con gli occhi smarriti di quest’anno livoroso ha pensato che la morte di Gigi fosse troppo, che qualcuno chissà dove si accanisse con un eccesso di perfidiaa sfilarci le persone che ci regalano i momenti più belli della vita: un sorriso, un pensiero, uno di quelli che non è mai soddisfatto.
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Se oggi fosse un giorno qualsiasi combattuto contro un cavaliere bianco inciprignito e invisibile per Gigi sarebbe venuta qui tutta Roma. Sarebbero venute le signore della Garbatella o del Tufello, quelle che affacciate alla finestra commentano le cose del giorno del quartiere. Sarebbero venuti i vigili urbani, quelli maschi, quelli col fischio e i carabinieri con la loro divisa e il loro senso dell’umano dovere. Sarebbero venuti i vetturini e i pensatori, i macellai come Manzotin e i musicisti più colti e raffinati. Un tempo sui cartelloni dei cinema o dei teatri veniva affisso un rassicurante cartello, diceva: per tutti. E Gigi ha lavorato ogni giorno per tutti, si è sempre sforzato di cercare l’armonia tra la vita delle persone tutte e la qualità del suo lavoro. Quando lo ascoltavi avevi la rassicurante sensazione che seppure ti stessi piegando dalle risate peri gesti surreali di Pietro Ammicca o per la disperazione dell’amico che cerca Toto nella saùna, dietro quelle parole, quei gesti, quelle smoerfie ci fosse sempre qualcosa di profondo. Ti sentivi più intelligente ridendo. Far ridere gli altri è una virtù rarissima in un mondo ormai frettoloso e ingrugnato la risata ha un valore iconoclasta, liberatorio, quasi rivoluzionario. Gigi adorava far ridere gli altri, ovunque, sempre.
Era capace di raccontare per la millesima volta la barzelletta del vedova romanista allo stadio, quella della lucertola che beve troppo, quella della pallina da golf o 18, 18 18, perché si beava del suono e degli occhi di chi aveva davanti. Fossero uno o centomila. Ma Gigi era anche Kean, perché nella vita bisogna essere anche, non solo. Gigi era un uomo colto, aveva letto e studiato, pensato e scritto, lo ricordo qui in una delle sue ultime interpretazioni di Fitzsimmons. Entrava e usciva quasi fisicamente dal ruolo dell’attore. Era un gioco di specchi tra realtà e finzione.
Ha cercato come un rabdomante per tutta la sua vita di coniugare per tutta la sua vita qualità e pubblico, non accettava che le cose belle fossero riservate solo a chi, spesso per ragioni di classe, aveva gli strumenti per decodificare: era un intellettuale popolare, colto e semplice, in coerenza con i suoi valori e le sue idee di uomo di sinistra e del popolo. Ricordo quando insieme col Maestro Gelmetti decidemmo di portare il Don Giovanni di Mozart a Piazza del Popolo e la sua gioia nel vedere quella piazza riempirsi delle sedie portate da casa dalle popolane romane, che non credete alle balle continuano ad esistere, per fortuna. Mozart, fuori dagli stucchi del glorioso teatro Costanzi era ancora più bello e la gente veniva perché si fidava di Gigi, se c’era lui doveva essere una cosa bella.
Mi è capitato di dire che con la morte di Gigi Roma ha un colle in meno, è la sensazione che avemmo proprio con lui il giorno dei funerali di Alberto quando lui disse dal palco il suo bellissimo sonetto, quello che Edoardo ha appena raccontato e recitato con parole che oggi, insieme, potremmo usare per lui. Anche in questi giorni tutta la città per te Gigi sbrilluccica di lacrime e ricordi.
Gigi, chi non è romano come fa a capì questa città, è maramalda e timida, gaglioffa e generosa, profonda e lieve come la sua lingua, quella che tu hai onorato, prendendola per mano da Trilussa, Belli, Pascarelli, Petrolini, Sordi e sottraendola al gioco facile della volgarità che ne strazia l’anima tenera, ma la lingua dei romani tu la succhiavi anche dalla strada, da chi incontravi, dagli aneddoti che ti raccontavano. Ricordo uno che mi dicesti una volta, te l’aveva raccontato Nicola Piovani, in una di quelle epifanie che erano le tue telefonate.
Mi raccontasti, scusate se lo faccio con una licenza poetica, che in una strada di Trastevere, uno di quei condomini in cui al piano terra ci sono due portoncini dirimpetto una volta uno mise sulla porta un innocente cartello con su scritto semplicemente: vendo la mia chitarra, l’altro, eroe sconosciuto attccò il suo con scritto: era ora li mortacci tua.
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Oggi, Roma e l’Italia ti salutano qui nel tuo teatro, perché questo è il tuo teatro, bello come tutti i teatri che portano vita e che presto torneranno e devono tornare a riempirsi di cuori. Il Globe nacqua da un tuo sogno e certe volte i sogni si realizzano, un teatro shakespiriano nel cuore di Roma. shakespeare che come te è morto nel giorno del suo compleanno. Sembrava una follia quando grazie alla fondazione Silvano Toti e alle sovrintendenze riuscimmo in pochi mesi a realizzare questa meravigliosa struttura.
Sembrava una follia e invece è diventato il luogo dell’educazione teatrale di migliaia di ragazzi romani, quelli che vedemmo insieme la sera dell’inaugurazione della notte bianca che arrivarono a frotte solo per scoprirlo questo luogo, qui dove nessun pensiero è soddisfatto. Giovani molto simili a quelli che hai fatto crescere per anni con il tuo laboratorio e che ancora oggi ti chiamano nel modo giusto. Ti chiamano maestro.
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Ma a Roma tu lo sai esiste una figura particolare, il sor maestro. Il sor maestro può essere un calzolaio o un arrotino, non necessariamente un grande, gigantesco attore come tu sei stato, tu sei e resterai per sempre per tutti i romani il nostro sor maestro. Odiavi e io con te la parola narrazione che ora viene applicata a ogni anfratto della vita umana, perché a te piaceva raccontare e tutti noi per decenni come bambini che ne hanno bisogno per non avere incubi abbiamo goduto dei tuoi meravigliosi racconti e per questo oggi semplicemente ti ringraziamo, con te diciamo grazie a Sagitta, la compagna dei tuoi giorni e a Susanna e Carlotta.
Qui continueranno con tutte le maestranze in tutti coloro che in questi anni hanno speso l’anima per questo teatro e continueranno il tuo lavoro. Nel decamerino hai scritto a proposito del romanzo della tua vita, che avevi raccontato come se fosse uno spettacolo teatrale hai scritto: nel camerino tutti dissero: ma è vero? E’ vero che ve l’ho raccontato. Ciao Gigi Grazie, ci vediamo presto”
Unimamme, cosa ne pensate di queste parole? Vi lasciamo con l‘omaggio di Paola Cortellesi.
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