Lettera di denuncia di una neomamma bis: “mi chiamavano come fossi una mucca”, l’esperienza del parto da incubo.
Andare in ospedale a partorire e vedersi trasformare un momento che dovrebbe essere di felicità in un trauma. E’ qualcosa che accade purtroppo abbastanza spesso, come documentato anche dalla campagna “Basta tacere” sulla violenza ostetrica e come raccontato da una donna di Caserta, biologa, che ha partorito all’ospedale Cardarelli di Napoli la sua seconda figlia.
La neo mamma bis ha inviato una lettera di denuncia alla struttura dopo aver vissuto un’esperienza di parto da incubo.
E’ Repubblica a riportare degli stralci della missiva, in cui la donna si dice “allibita” per il modo in cui è stata trattata.
M. F., è arrivata il 4 aprile 2017 in ospedale con le contrazioni, ed è stata “accolta da una dottoressa gentile e professionale“; i problemi però iniziano con l’inizio del nuovo turno, dopo le 20. La nuova ostetrica in servizio “elencava tutti i suoi malanni in dialetto, urlava di avere la pressione alta e questo atteggiamento cominciò a spaventarmi” – scrive la donna.
Quando le si rompono le acque, le cose si mettono peggio: “L’ostetrica, urlando dal corridoio che portava alla sala parto, disse di raggiungerla a piedi ma io non riuscivo neanche a tenermi in piedi. Mia madre vide che, in quel corridoio, l’infermiera diceva all’ostetrica che io non ce la facevo a camminare e l’ostetrica insisteva dicendo in maniera sgarbata di forzarmi a farmi camminare per raggiungere la sala parto. Io mi aggrappai all’infermiera e riuscii a raggiungere il lettino della sala parto”.
Anche durante il travaglio l’ostetrica non si sarebbe comportata in maniera professionale: “mi urlava continuamente addosso, io, per il forte dolore, tendevo a sollevare il bacino dalla sedia e lei mi urlava: ”Abbassa questo culo”, di continuo. E ancora : “Che fai la ballerina?”.
“L’ostetrica – scrive ancora – non mi ha sostenuto per niente, né gestita nella respirazione, ho sopportato tutte queste denigrazioni perché l’unico mio obiettivo in quel momento era mettere alla luce mia figlia senza provocarle danni”.
E quando finalmente la bambina è nata, persino la placenta è stato motivo di quella che si potrebbe definire una vera e propria mortificazione: “Sanguinavo molto – scrive ancora la donna – l’ostetrica con modi sgarbati e mortificanti mi puliva come se stesse trattando una bestia, schifata come se io non fossi una persona e lamentava continuamente di sentire caldo, mentre io soffrivo su quella maledetta sedia”.
Anche il medico che le ha messo in punti non è stato da meno, visto che la neo mamma aveva percepito qualche timore durante la procedura: “Chiesi che stessero facendo e con fare spavaldo dopo aver applicato i punti il medico mi disse: “Da me vengono le signore a rifarsi (le parti intime), io a lei l’ho fatto gratis”.
Inoltre nessuno durante la notte è andata a controllarla, nonostante continuasse a sanguinare dopo i punti: “Un’infermiera disse che quel sanguinamento non era normale”. Eppure “nessuno venne a controllarmi, lo faceva mia madre, che uscì dal reparto alle 6 del mattino e sentì che la guardia di turno e una signora delle pulizie dicevano che in reparto non c’era nessuno, che tutti dormivano”.
La donna era stata precedentemente in cura in un ospedale di Treviso dove era stata operata per una gravidanza extrauterina e racconta: “Sono stata assistita nel migliore dei modi, le infermiere tutta la notte facevano un andirivieni per il reparto. Alla fine della degenza mi fecero compilare un questionario anonimo per esprimere un parere anche sull’accoglienza e il comportamento dei medici”. Invece al Cardarelli, “al momento delle dimissioni, chiamano le persone come se fossero delle mucche e se non senti in tempo si arrabbiano pure“.
Il nuovo direttore Ciro Verdoliva ha disposto un’indagine interna e ha assicurato che verrà consegnata una relazione dopo aver ascoltato la donna, il suo ginecologo e il personale medico coinvolto. Dopo allora verranno presi provvedimenti, che potrebbero portare anche al licenziamento: “Non ci possono essere giustificazioni – spiega il primario a Repubblica – Sui pazienti non possono pesare le condizioni di lavoro. Non lo accetto. Non è sufficiente una prestazione sanitaria tecnicamente corretta, ma è necessario costruire un rapporto diretto col degente che è prima di tutto una persona“.
E voi unimamme cosa ne pensate? Avete avuto esperienze simili?
Intanto vi lasciamo con il post di una mamma vittima di violenza ostetrica che combatte per avere giustizia.
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