Un bambino italiano su 7 non ha una sicurezza alimentare. E la situazione rischia di peggiorare. L’allarme dell’Università Cattolica
Uno studio dell’Università Cattolica di Roma ha analizzato le condizioni alimentari delle famiglie italiane e ha riscontrato una condizione di insicurezza. Insicurezza alimentare significa che le famiglie, in particolare quelle più numerose e con genitori meno istruiti, non possono assicurare sempre ai loro figli una alimentazione bilanciata e ripiegano su prodotti meno costosi ma anche meno nutrienti.
E’ questo che è emerso dallo studio condotto dall’Università romana in collaborazione con professori e ricercatori di altri atenei italiani, che ha interessato oltre 500 famiglie italiane e i loro pediatri per valutare le condizioni alimentari dei bambini.
La ricerca ha valutato l’accesso al cibo dei bambini e le loro condizioni di salute. Analizzando la situazione socio-economica delle famiglie e le ripercussioni che ha sulla scelta dei cibi acquistati, confrontandola poi con i dati forniti dai pediatri sullo stato di salute dei bambini in base ai valori di riferimento sulla crescita, è emerso che tra un bambino su sette viveva in una condizione di insicurezza alimentare.
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Lo studio, pubblicato nel 2019, ha analizzato dati del 2017/2018 e ha interessato diverse aree geografiche del nostro paese: Lombardia, ovvero la città di Milano; Lazio, città di Roma; Marche, città di Jesi; Campania, città di Caserta; Puglia, città di Brindisi; Sicilia, città di Palermo.
I bambini presi in esame avevano un’età tra 1 e 11 anni, di famiglia italiana e seguiti da un pediatra. E’ stato sottoposto un questionario ai genitori, circa le scelte alimentari, e uno ai pediatri che li seguivano, circa le condizioni fisiche di peso, altezza, salute orale, psicomotoria e relazionale.
Nel Sud Italia le condizioni sarebbero peggiori rispetto al resto del paese. L’insicurezza alimentare sembrerebbe infatti direttamente collegata alle condizioni socio-economiche e all’istruzione dei genitori. Le famiglie del Sud Italia più numerose e con genitori più giovani e meno istruiti hanno una difficoltà maggiore ad assicurare una alimentazione bilanciata e sana ai loro figli e anche una attenzione minore alla qualità dell’alimentazione.
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Ciò che realmente preoccupa, secondo la professoressa Maria Luisa Di Pietro, che ha condotto la ricerca dell’ateneo romano assieme al professor Walter Ricciardi, è che potrebbe essere solo la “punta di un iceberg“.
Il dato potrebbe essere infatti sottostimato, sia perché la ricerca non ha interessato aree degradate dove le possibilità economiche sono minori e sicuramente c’è maggiore insicurezza alimentare, sia perché la recente crisi economica che sta vivendo il paese a causa della pandemia di Covid19 potrebbe aver peggiorato ulteriormente le condizioni di molte famiglie italiane.
Un altro dato da considerare è che per molti bambini italiani le cui famiglie vivono in condizioni economiche precarie, la mensa scolastica rappresenta l’unico pasto sicuro e completo della giornata. Le recenti chiusure delle scuole hanno provocato disagio e divario sociale sia per l’accesso alle risorse informatiche e di conseguenza all’istruzione, sia dal punto di vista del benessere alimentare e fisico dei bambini più poveri.
Le famiglie economicamente disagiate non hanno prospettiva futura di stabilità e devono sopperire alle ristrettezze economiche risparmiando sulla alimentazione e acquistando prodotti a basso costo e di scarso valore nutrizionale. Ne consegue che i bambini che fanno parte di queste famiglie avranno maggiori problemi di salute, dai problemi di vista a quelli di peso, dalle difficoltà psicomotorie al rendimento scolastico.
Secondo la professoressa Di Pietro, è necessario ed urgente un intervento di carattere sociale finalizzato alla riduzione della condizione di povertà delle famiglie e che miri a ridurre gli effetti negativi del basso reddito sui bambini. I pediatri e la scuola devono collaborare con le istituzioni affinché le carenze di questi piccoli vengano integrate e la crisi economica del paese può soltanto accelerare e aggravare questa situazione.
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Speriamo che studi di questo tipo vengano approfonditi ed ampliati e che si uniscano le forze in ambito medico, politico, sociale per non lasciare indietro nessun bambino e assicurare a tutti gli stessi diritti fondamentali, che in una società progredita ed economicamente stabile non dovrebbero essere negati a nessuno. Soprattutto la sicurezza alimentare dovrebbe essere garantita ai più piccoli.
Voi unimamme cosa ne pensate di questa interessante ricerca?
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