La violenza ostetrica è un tema sempre più dibattuto. Molte donne grazie ad alcune campagne denunciano ciò che hanno vissuto sulla loro pelle
Lo scopo delle campagne degli ultimi anni che ha dato visibilità al tema della violenza ostetrica è sia quello di far capire alle donne quali sono i loro diritti e stimolarle a raccontare le loro esperienze negative e traumatiche, sia quello di sensibilizzare la comunità ostetrica e ginecologica ad affrontare il tema e a dialogare con le pazienti per migliorare la qualità dell’assistenza medica.
Sono tantissime ormai le testimonianze che negli ultimi anni vengono raccolte da Associazioni e Onlus impegnate sul tema. Ciò che colpisce è che le donne che hanno subito esperienze traumatiche durante il parto o altre pratiche ginecologiche e ostetriche riportano danni nel tempo e un ricordo indelebile dell’esperienza vissuta.
La violenza ostetrica è per definizione qualsiasi trattamento inadeguato e irrispettoso della dignità umana che la donna subisce durante la gravidanza, il parto o il post parto, ma anche nelle altre pratiche ginecologiche che la donna subisce dalla giovinezza alla menopausa, a volte senza che ci siano specifiche indicazioni mediche.
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Il tema è più che mai scottante: dagli ultimi dati pubblicati sul quotidiano Repubblica si stima che il 41 % delle neomamme dichiara di aver subito una forma di violenza ostetrica. Un dato allarmante quanto sconcertante in un paese come il nostro che ha una sanità pubblica molto presente e attiva.
Ma forse il problema risiede anche nella eccessiva medicalizzazione di un processo naturale. Il problema è stato sollevato molte volte e in questa interessante intervista a Patrizia Quattrocchi ve ne avevamo parlato in modo molto chiaro.
Il parto nei paesi sviluppati sembra infatti aver perso la sua componente naturale, il processo che da sempre le donne hanno affrontato per mettere al mondo i propri figli oggi viene trattato come se fosse una pratica medica e per questo viene accelerato, modificato, indotto e si può incorrere in errori.
Sempre più donne lamentano di aver ricevuto scarsa informazione sulle pratiche che venivano effettuate durante il parto e di non essersi sentite coinvolte, di non avere avuto scelta nel tipo di parto avuto e di non aver potuto rifiutare le pratiche che sono state fatte. Nel nostro paese ad esempio non esiste un tipo di assistenza domiciliare gratuita per chi sceglie di effettuare il parto in casa, laddove non ci sono controindicazioni, per viversi il momento del parto come una esperienza intima ed emotiva.
Le testimonianze raccolte dalle donne che hanno denunciato la loro esperienza di violenza ostetrica fanno davvero riflettere: mancanza di umanità e di empatia durante il parto ma anche insulti verbali e violenze fisiche, l’episiotomia praticata quasi sempre senza il consenso e con una informazione tardiva, la violazione della privacy nello stare nuda davanti a molta gente, la negazione ad essere accompagnata da un familiare in sala parto, l’obbligo a partorire distesa con le gambe sulle staffe.
Moltissime donne hanno dichiarato che l’esperienza negativa ha influito sulla loro scelta di avere una seconda gravidanza o di farsi seguire nello stesso ospedale, ma anche che il parto traumatico sia stato la causa principale di danni fisici momentanei o permanenti e di molte depressioni post parto. Insomma una violenza sia fisica che psicologica che rimane per molto tempo impressa nella memoria di chi la subisce e può influire sulla ripresa e sulla vita familiare e sociale. Non a caso infatti la violenza ostetrica è stata inserita nella triste lista di tutti i tipi di violenza che subiscono le donne che l’Onu ricorda il 25 Novembre in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
Dal 2016 il nostro paese ha aperto questa tematica in modo strutturato, prima con la campagna “Bastatacere” nata insieme all’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica (OVO) che vuole sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso le testimonianze delle donne che si convincono a denunciare e dal 2018 con la campagna “What Women Want” che invece raccoglieva opinioni delle donne su cosa cambiare nell’assistenza sanitaria in campo ostetrico per cercare di trovare un dialogo con i professionisti, medici ed ostetriche, che migliorasse la qualità del servizio.
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Se nel nostro paese, come in molti altri, non esiste ancora una legislazione specifica sull’argomento che preveda tutele per le donne che subiscono questo tipo di violenza e sanzioni per chi le provoca, a livello europeo qualcosa ha iniziato a muoversi dallo scorso anno.
Il Consiglio Europeo con la risoluzione numero 2306 della sessione autunnale 2019 ha chiesto agli Stati membri dell’Unione di “affrontare il problema della violenza ostetrica e ginecologica e di creare dei meccanismi che permettano alle donne di denunciare e che forniscano loro una assistenza adeguata.
L’Onu invece ha emanato un rapporto su questo tema e ha riconosciuto la violenza ostetrica come una violazione dei diritti umani, creando quindi le basi per un impegno collettivo e concreto.
Nelle celebrazioni della giornata mondiale della lotta alla violenza sulle donne quindi questo tema sale alla ribalta come una delle tante questioni ancora irrisolte nonché emergenza umanitaria e sanitaria riconosciuta a livello globale che va affrontata senza pregiudizi sia dalle donne e madri che portano con sé il ricordo indelebile di quanto avvenuto, sia dalle istituzioni che devono impegnarsi a tutelare tutti gli individui e sanzionare ogni tipo di abuso e sopruso.
Il parto, laddove non ci sono complicazioni, è un momento unico per la donna. Mettere al mondo un figlio è l’emozione più bella ed intensa che una donna possa provare, se ancora oggi per quasi la metà delle donne questa esperienza si lega al ricordo di una violenza subita proprio da chi in quel momento dovrebbe essere di supporto, allora vuol dire che bisogna fare qualcosa per porre fine a queste pratiche.
Voi unimamme cosa ne pensate? Avete avuto esperienze dirette o indirette di questo tipo di violenza?
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