Rapporto Censis 2020: i problemi della didattica a distanza sull’esclusione degli alunno più fragili.
Una società impaurita, individualista e avvitata su sé stessa. Soffocata da vecchi problemi che la pandemia di Covid-19 ha semplicemente evidenziato e aggravato. È il ritratto impietoso dell’Italia e degli italiani che il Censis delinea nel suo ultimo rapporto per l’anno 2020, non a caso intitolato “L’anno della paura nera“.
“Il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica“, scrive il Censis nel suo rapporto, “tra pesanti tonfi e tentennamenti“. Una situazione di difficoltà che il nostro Paese si trascina dietro da tempo. “Mai lo si era visto così bene come durante quest’anno eccezionale, sotto i colpi sferzanti dell’epidemia“.
“Il nostro modello individualista è stato il migliore alleato del virus, unitamente ai problemi sociali di antica data. E di certo la rissosità della politica e i conflitti interistituzionali non aiutano“. Manca unità nel Paese e una classe dirigente che sappia guidarlo in un momento tanto difficile.
“Uno degli effetti provocati dall’epidemia è di aver coperto sotto la coltre della paura e dietro le reazioni suscitate dallo stato d’allarme le nostre annose vulnerabilità e i nostri difetti strutturali, del tutto evidenti oggi nelle debolezze del sistema ‒ l’epidemia ha squarciato il velo: il re è nudo!“, è la denuncia del Censis.
Se la pandemia ha peggiorato le condizioni degli italiani, le basi di partenza non erano positive. Vecchi problemi si sono ulteriormente aggravati: la disparità tra garantiti e non garantiti, il divario tra ricchi e poveri, l’annoso problema della disoccupazione di donne e giovani.
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Nemmeno la scuola è stata risparmiata. Infatti, se la didattica a distanza ha consentito di continuare le lezioni, almeno in parte. Non tutti gli studenti hanno potuto usufruirne. Si sono verificate forti disparità a livello territoriale, che rispecchiano le differenti condizioni socio-economiche tra Nord, Sud e Centro. Inoltre, i bambini e ragazzi più fragili sono stati esclusi, con grave danno non solo nell’apprendimento ma anche nell’inclusione, aumentando il rischio di dispersione scolastica. Di seguito i dettagli del Rapporto Censis sulla scuola ai tempi del Covid-19.
Il Censis intitola “La scuola degli esclusi” la sezione del suo rapporto dedicata alla scuola. Un titolo eloquente, che mette subito in evidenza i problemi che gli studenti hanno dovuto affrontare quest’anno a causa della pandemia di Covid-19. Problemi che non sono stati gli stessi per tutti.
“La traumatica chiusura delle scuole a seguito della pandemia e la complessa riapertura a settembre hanno messo in luce quanta parte della vita degli italiani ruoti intorno alla scuola e quale sensazione di vuoto sociale e individuale lasci il venir meno di questa istituzione“, scrive il Censis nel Rapporto 2020.
La scuola, infatti, è “non solo luogo di istruzione e apprendimento, ma anche presidio culturale ed educativo nei territori“. Il ruolo centrale della scuola, anche come “ancora di salvezza per la sempre più difficile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro“, spiega il Censis, emerge anche “dalla pressante richiesta sociale di supplire alla carenza di altre agenzie educative complementari e dal ruolo di luogo dove i bambini e gli adolescenti possono trascorrere ore costruttive, mentre i genitori lavorano“.
La scuola, dunque, svolge molte funzioni, anche di supporto alla famiglia e la sua chiusura durante il lockdown ha avuto effetti pesantissimi per tutti, ma non allo stesso modo.
Se la didattica a distanza in parte ha compensato la sospensione delle lezioni in classe, purtroppo non ha coperto tutte le scuole allo stesso modo e non ha evitato che intere categorie di studenti restassero esclusi.
“Nonostante gli esiti positivi delle strategie e degli strumenti messi in campo dal sistema scolastico italiano per rispondere ai bisogni di formazione e inclusione dell’utenza di origine straniera – scrive il Censis – , tra gli oltre 800.000 studenti non italiani i soggetti più a rischio sono costituiti dalle prime generazioni (circa il 47% del totale)“. Questi bambini e ragazzi, figli di genitori immigrati in Italia, “trovano maggiori difficoltà anche per ragioni linguistiche e culturali nel raggiungere livelli minimi di apprendimento” e “a fronte dell’interruzione della didattica in presenza, sono potenzialmente più a rischio dispersione“.
Non sono gli unici studenti che sono stati penalizzati dalla chiusura delle scuole. “Un’ultima tipologia di studenti che richiede una particolare attenzione, e per la quale la socialità che si instaura nelle aule scolastiche è insostituibile, è costituita dagli alunni con disabilità (268.671 persone nelle sole scuole statali) o con disturbi specifici dell’apprendimento (circa 276.000 studenti con Dsa)“.
“Durante il lockdown – prosegue il Censis -, con la didattica a distanza non si è riusciti a coinvolgere tutti gli studenti, nonostante tutte le scuole, con le risorse e le capacità a disposizione, si siano adoperate almeno per colmare il più possibile le carenze di tecnologie e connettività. E già con il nuovo anno scolastico i docenti fanno i conti con livelli di apprendimento inferiori a quelli di un normale anno scolastico“.
Si legge nel rapporto: “Ad aprile 2020, solo l’11,2% degli oltre 2.800 dirigenti scolastici intervistati dal Censis segnalava di essere riuscito a coinvolgere tutti gli studenti; viceversa, mancava all’appello più del 10% di studenti nel 18% degli istituti” (tab. 19).
Inoltre, “il 53,6% dei dirigenti“, aggiunge il Censis, “sottolineava come con la Dad non si riesca a coinvolgere pienamente gli studenti con bisogni educativi speciali” (fig. 8).
Come risulta dall’indagine condotta dal Censis presso i dirigenti scolastici, “anche nell’ipotesi di un sostanziale controllo della pandemia, la preoccupazione più diffusa, espressa dal 51,5% degli intervistati, è di non riuscire a supportare adeguatamente gli studenti con disabilità o bisogni educativi speciali“.
“Un ulteriore 37,4% di presidi teme di non poter realizzare progetti per il contrasto alla povertà educativa e la prevenzione della dispersione scolastica“.
I presidi hanno anche sottolineato che per tutti gli studenti “più che l’eventuale necessità di recupero di lacune e insufficienze (29,3%), la principale preoccupazione, evidenziata dal 47,9% dei dirigenti, è di non riuscire a mantenere i necessari livelli di socializzazione“.
L’importanza della socializzazione per i ragazzi è stata ulteriormente sottolineata dal 65,1% dei presidi intervistati che “ha notato che, con il ritorno in classe, l’atteggiamento più diffuso tra i propri studenti è stata la felicità di rivedere i propri compagni, unitamente alla consapevolezza della necessità di fare la propria parte (51,7%), alla rivalutazione sostanziale dello stare a scuola (45,7%) e alla felicità di rivedere i propri docenti (38,5%)“.
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Che ne pensate unimamme dei dati di questo studio?
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