Covid nelle Rsa: l’impatto della seconda ondata è stato diverso da quello della prima. I dati in dettaglio.
Non si ferma la pandemia di Covid in Italia e i morti sono ancora tanti, ma almeno migliora la curva epidemica, in calo da diversi giorni, così come l’indice Rt di trasmissibilità del contagio. Una situazione che ha permesso l’allentamento di alcune restrizioni e il cambio di colore di diverse regioni, passate a una zona di rischio inferiore.
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Un’altra buona notizia, che viene da uno studio, è quella relativa alla minore gravità della seconda ondata dei contagi nelle Rsa, le strutture di residenza per anziani. Ecco cosa bisogna sapere.
In molti ricorderanno la scorsa primavera il dramma dei contagi e delle morti di Covid-19 nelle Rsa, le Residenze sanitarie assistenziali, dove si verificò un numero altissimo di decessi tra gli anziani.
Colti di sorpresa da un virus subdolo che non manifesta subito i suoi sintomi e spesso è asintomatico, non è stato possibile fermare la diffusione dei contagi in tempo e i più fragili sono stati colpiti in modo durissimo. I morti nella prima ondata, inoltre, sono sottostimati.
Nonostante questa seconda ondata di Coronavirus in Italia non sia stata inferiore alla prima, per diffusione dei casi e per numero dei decessi – ai primi di ottobre toccavamo i 36mila morti e a inizio dicembre abbiamo superato i 60mila -, l’impatto del virus nelle Rsa è stato più contenuto.
Una situazione emersa dalle cronache, che non sono state tragiche come quelle dei mesi scorsi, e che ora è confermata da studio multicentrico osservazionale GeroCovid Rsa condotto dalla Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg).
Lo studio ha evidenziato che in questa seconda ondata della pandemia, nella Rsa la trasmissione del contagio è avvenuta con pochi sintomi e più lievi rispetto alla prima ondata e con un tasso di letalità del 19,2% (percentuale di morti sui contagi).
I dati delle Rsa sono stati analizzati da marzo allo scorso 8 novembre e provengono da 59 strutture residenziali presenti in Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Calabria e Sicilia, riferiti a 430 anziani positivi al Covid o con positività sospetta. Come riporta Ansa nel citare lo studio.
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Casi di Covid-19 sono stati registrati solo in 9 strutture, sulle 59 Rsa prese in esame, e tra gli anziani contagiati la mortalità è stata relativamente contenuta. Questo è stato possibile grazie ai protocolli di sicurezza adottati per il contrasto ai contagi.
Dall’analisi dei dati raccolti, inoltre, è emerso che gli anziani contagiati hanno avuto pochi sintomi, tra cui:
Invece, non si sono verificati casi di perdita di gusto e olfatto.
Il contenimento delle infezioni e la manifestazione di sintomi meno gravi sono stati possibili grazie all’applicazione delle misure di sicurezza. Dallo studio emerge, infatti, che in 8 casi su 10 sono usate sempre le mascherine chirurgiche ed è osservato il distanziamento fisico, poi sono vietate le visite e limitate le procedure specialistiche non necessarie. Per individuare in modo tempestivo i contagi, che è un fattore cruciale nei pazienti anziani e con patologie pregresse, tutti i giorni vengono misurate la temperatura corporea e la saturazione dell’ossigeno. Per evitare la diffusione del contagio all’interno delle strutture, inoltre, i pazienti positivi vengono isolati in aree apposite.
Le 9 Rsa dove si sono verificati casi di Covid-19 si trovano nelle regioni di Lazio, Lombardia, Toscana e Veneto. Qui, i ricercatori hanno rilevato delle percentuali molto variabili di positività al Coronavirus. “I dati dicono che si va da un caso nel Lazio, in cui il contagio è rimasto confinato a un solo operatore sanitario e nessun residente, a una Rsa lombarda in cui il 59% dello staff è risultato positivo contro appena il 5% dei residenti, fino a situazioni in cui il 43-46% degli ospiti è rimasto contagiato assieme al 18-22% degli operatori“, spiega Alba Malara, dell’Associazione Nazionale Strutture Terza Età (Anaste) di Lamezia Terme (Catanzaro) e coordinatrice dello studio.
Raffaele Antonelli-Incalzi, presidente Sigg, sulla situazione delle Rsa in questa seconda ondata afferma: “La presenza di minori sintomi e più lievi negli anziani residenti con Covid-19, suggerisce che per bloccare la trasmissione del Covid nelle strutture residenziali non basta fare i tamponi a chi accusa qualche sintomo… La maggioranza non ha i segni classici della malattia, e per impedire la comparsa di nuovi focolai, evitando di accorgersi troppo tardi del contagio, servono test a tappeto nelle Rsa, indipendentemente dal fatto che gli anziani presentino sintomi da Covid“.
I geriatri chiedono al governo e alle regioni di “realizzare un piano prioritario per le vaccinazioni degli anziani, con percorsi dedicati per le Rsa“. Perché “senza un programma concreto, con le Regioni costrette a presentarsi con politiche tutte diverse, sarà il caos“, concludono.
Lo studio sui casi di Covid-19 nelle Rsa è stato presentato al 65mo Congresso che si è svolto in questi giorni.
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