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Covid-19, scoperto cosa determina la gravità della malattia

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valeria bellagamba

Covid-19, cosa può influire sulla gravità della malattia. La scoperta di uno studio scientifico.

(Ospedale di Tor Vergata, Roma. Foto di FILIPPO MONTEFORTE/AFP via Getty Images)

I pazienti che si ammalano di Covid-19, la malattia causata dal Coronavirus Sars-CoV-2, non si ammalano tutti allo stesso modo. Pazienti simili possono sviluppare sintomi molto diversi.

Sappiamo, infatti, che generalmente il Covid-19 non è grave. Nella maggior parte dei casi i sintomi sono lievi o al più moderati e non richiedono il ricovero in ospedale, ma possono essere trattati in casa. Inoltre, se le cure a domicilio sono tempestive e mirate, è dimostrato che si evita il decorso più grave, fermando la fase acuta della malattia ed evitando non solo l’ospedalizzazione ma in diversi casi anche la morte.

Ricordiamo, poi, che sono numerosi i casi asintomatici, di persone che nemmeno si accorgono di essere state contagiate.

Esistono anche i casi di long Covid, di pazienti inizialmente non gravi che, tuttavia, hanno sintomi debilitanti sul lungo periodo.

Eppure alcuni pazienti sviluppano forme gravissime del Covid-19, con complicazioni che possono portare alla morte. I sintomi più gravi sono l’insufficienza respiratoria e la polmonite interstiziale, insieme alle infiammazioni che possono colpire più o tutti gli organi (infiammazioni multisistemiche).

LEGGI ANCHE: COVID-19: TROVATO UN NUOVO PAZIENTE 1 IN ITALIA, IL CASO

Sappiamo che i pazienti più anziani e quelli con patologie pregresse sono più a rischio di complicanze gravi e di morte. Sono quelli che muoiono di più, come dimostrano i dati. Le differenze nello sviluppo della malattia, tuttavia, non dipendono soltanto dall’età dei pazienti o dalla presenza di comorbidità. Perché anche tra pazienti che appartengono alla stessa area di rischio e perfino in coloro che sono sani possono manifestarsi decorsi molto vari della malattia. Così come si sono verificati decessi e complicanze gravi anche nei giovani.

Sappiamo anche che le infiammazioni gravi nei pazienti Covid-19 sono delle reazioni eccessive del sistema immunitario a un virus nuovo. Reazioni che possono essere letali.

Da cosa dipendono queste conseguenze? Cosa determina la gravità del Covid-19 in pazienti anche in condizioni simili? Gli scienziati hanno provato a dalle risposte fin dall’inizio della pandemia. Ora un nuovo studio scientifico sembra aver trovato una risposta.

Covid-19, cosa può influire sulla gravità della malattia

Uno studio internazionale condotto dal Karolinska Institutet, in Svezia, ha scoperto che la gravità del Covid-19 può dipendere dalle variazioni individuali nel modo in cui il sistema immunitario risponde all’infezione da Sars-CoV-2.

Nello specifico, queste differenze dipendono da un certo tipo di cellule immunitarie, chiamate cellule soppressorie di derivazione mieloide. I ricercatori hanno dimostrato che livelli elevati di queste cellule nel sangue hanno un impatto sulla gravità della malattia.

Questo lavoro può contribuire a una maggiore comprensione di come le risposte immunitarie precoci possono influenzare la gravità del Covid-19.

Lo studio è stato da poco pubblicato sul Journal of Clinical Investigation ed è stato condotto da un team di ricercatori del Karolinska Institutet, dell’ospedale universitario di Karolinska, di Stemirna Therapeutics a Shanghai e dell’Università di Stanford, negli Stati Uniti.

Per capire le enormi differenze tra i pazienti che sviluppano forme diverse di Covid-19, dai casi senza sintomi o con sintomi levi o moderati a quelli più gravi come la crisi respiratoria, i ricercatori hanno studiato il ruolo potenziale nella malattia svolto dalle cellule soppressorie derivate da mieloidi monocitiche (Monocytic myeloid-derived suppressor cells, M-MDSC).

Occorre prima una premessa. Nel sistema immunitario, le cellule T svolgono un ruolo importante nella protezione dell’organismo contro le infezioni virali come il Covid-19. È stato dimostrato che le cellule M-MDSC aumentano in altre condizioni infiammatorie ed è stato stabilito il loro effetto soppressivo sull’attività delle cellule T.

Il ruolo delle cellule M-MDSC nelle infezioni respiratorie, tuttavia, è ampiamente sconosciuto, hanno precisato i ricercatori. Dato che bassi livelli di cellule T sono un segno distintivo del Covid, è interessante comprendere il ruolo delle cellule M-MDSC in questa malattia.

 

Livelli di cellule M-MDSC nei pazienti Covid-19, a seconda della gravità della malattia (Fonte: www.jci.org)

Lo studio del Karolinska Institutet ha preso in esame 147 pazienti con Covid-19 da lieve a letale, dai quali sono stati prelevati ripetutamente dei campioni di sangue e del tratto respiratorio. Questi campioni sono stati poi confrontati con quelli prelevati da pazienti con influenza e da individui sani.

Dalle analisi è emerso che i pazienti con una forma grave di Covid-19 avevano livelli elevati di cellule M-MDSC nel sangue rispetto ai casi più lievi e ai pazienti sani. Inoltre, i pazienti Covid avevano meno cellule T nel sangue rispetto ai soggetti sani e mostravano segni di funzionalità ridotta. Inoltre, è emerso che i livelli di cellule M-MDSC all’inizio della malattia sembravano riflettere la sua successiva gravità.

La conclusione dei ricercatori è che le M-MDSC crescono nel sangue dei pazienti Covid, sopprimono le cellule T e sono associate alla gravità della malattia. Pertanto, queste cellule avrebbero un ruolo nella risposta immunitaria disregolata al Covid-19.

Le professoressa Anna Smed Sorensen, del Dipartimento di Medicina del Karolinska Institutet e autrice principale dello studio ha spiegato: “I nostri risultati aiutano ad aumentare la comprensione di ciò che causa una forma grave di Covid-19“. Aiutano a “capire la connessione tra il sistema immunitario innato, precoce, che include M-MDSC, e il sistema immunitario adattivo successivo, che include le cellule T“. Questi risultati, inoltre, potrebbero essere potenzialmente utilizzati per “trovare nuovi biomarcatori per le malattie gravi“.

Comunque, saranno necessari ulteriori studi, come riconoscono gli stessi ricercatori, a causa del numero limitato di pazienti esaminati e di campioni prelevati, sebbene utilizzati nel modo più efficiente possibile.

Lo studio è citato da News Medical.

(Terapia intensiva dell’ospedale Santo Stefano di Prato. Foto di ALBERTO PIZZOLI/AFP via Getty Images)

Che ne pensate unimamme di questa scoperta? Magari presto con una analisi si potrà sapere se si è o meno esposti a forme gravi della malattia.

valeria bellagamba

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