Caso Cucchi, le parole della sorella Ilaria sulle motivazioni della sentenza nei confronti dei medici dell’ospedale Pertini. “I detenuti sono esseri umani”.
Nell’infinita vicenda giudiziaria sul caso di Stefano Cucchi, finalmente sono state pubblicate le motivazioni della sentenza nei confronti dei medici dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, dove il giovane nell’ottobre del 2009 fu ricoverato dopo l’arresto e il pestaggio da parte dei carabinieri.
La sentenza è stata pronunciata dalla Corte di Appello di Roma, e riguarda il processo che si è concluso con una assoluzione e quattro prescrizioni per i cinque medici dell’ospedale romano che ebbero in cura il giovane. Nonostante nessuno dei sanitari sia stato condannato, la Corte ha comunque riconosciuto una responsabilità generale dello Stato a cui viene affidato un detenuto. Sia in un carcere o in un ospedale penitenziario. Ecco cosa hanno scritto i giudici nella loro motivazione.
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Dopo oltre un anno, a causa dell’emergenza Covid, arrivano le motivazioni della sentenza di appello nei confronti di medici dell’ospedale Pertini di Roma dove Stefano Cucchi fu ricoverato dopo l’arresto da parte dei carabinieri e il pestaggio in caserma. La sentenza fu pronunciata il 14 novembre 2019, a poche ore di distanza da quella di condanna a 12 anni di reclusione nei confronti dei carabinieri autori del pestaggio del giovane.
Nei confronti dei sanitari del Pertini, la sentenza stabilì una assoluzione e quattro prescrizioni del reato (che non significa assoluzione). La famiglia di Stefano, tuttavia, ha sempre sostenuto la responsabilità dei medici nel non aver prestato le cure dovute al giovane durante il suo ricovero. Una tesi che, nonostante non siano state pronunciate condanne nei confronti dei sanitari, viene ora riconosciuta dai giudici.
“Lo Stato ha certamente il diritto di fare un prigioniero, ma non di disinteressarsene. Questo è il terreno del tutto trascurato, in cui una vicenda, dal punto di vista giudiziario banale (un arresto in tema di stupefacenti), volge in pochi giorni in tragedia“. Cos’ scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza, un documento di 69 pagine citato da Repubblica.
“Cucchi – scrivono i giudici – rappresentava indubbiamente un paziente di difficile approccio, probabilmente scarsamente disponibile all’interlocuzione, forse con venature antisociali, certamente oppositivo ed ancorato ad una caparbia ed infantile posizione di rifiuto dei trattamenti“. Ma è “troppo sbrigativo e troppo semplice affermare a questo punto che il paziente rifiutava le cure ed i trattamenti e quindi nulla può contestarsi ai sanitari“.
Sono parole importanti che sottolineano una responsabilità dei medici.
Spiegando il comportamento di Stefano in quell’occasione, i giudici affermano che “un festival di insipienze che deve aver prodotto una reazione, definiamola puerilmente sdegnata, da parte di un soggetto verosimilmente già portatore di proprie fragilità. Di qui il passo è breve: lasciarsi andare, optare per il tanto peggio tanto meglio per far nascere nelle persone che si reputano intimamente responsabili del suo stato il senso di colpa“.
Riguardo ai medici del Pertini e del giudizio verso di loro, i giudici della Corte di Appello parlano di “una sentenza oramai sostanzialmente pletorica rispetto al caso, i cui termini di redazione delle motivazioni sono anche caduti nel drammatico periodo della vicenda Covid; un fallimento della giustizia, come sempre avviene allorché cada la mannaia della prescrizione ma anche un monito severo ed una occasione di riflessione per chiunque operi a contatto con i detenuti a non considerarli un semplice numero del procedimento, ma esseri umani, fors’anche talvolta sgradevoli, eppur sempre doverosamente meritevoli, proprio in ragione del loro stato detentivo, di una attenzione anche superiore a quella dedicata ad un uomo libero nella persona, la cui dignità non perdono mai, pena la regressione a tempi oscuri oramai trascorsi“.
“Cucchi – continuano i giudici – fu certamente sollecitato a nutrirsi e ad assumere bevande liquide, ma, verosimilmente non ricevette mai ne da alcuno una informazione adeguata, dettagliata e completa in merito alle sue condizioni cliniche, alle necessità di trattamento che esse comportavamo ed ai rischi cui andava incontro con il suo atteggiamento“.
“Un dato storico incontrovertibile è rappresentato dalla crisi cardiocircolatoria che ha condotto a morte Stefano Cucchi, una verità banale se vogliamo ma di una consistenza rocciosa“. Secondo i giudici, invece, i medici del Pertini non valutarono in modo adeguato altri due fattori emersi dalla nuova perizia d’ufficio: “l’ipoglicemia e la bradicardia” due “fattori d’allarme che avrebbero imposto cautela“.
I medici “avrebbero potuto svolgere una efficace azione causale impeditiva dell’evento morte: il ripristino di una corretta assunzione di cibi e bevande, determinando in tal modo la regressione dei meccanismi patologici instauratisi (in quanto l’ipoglicemia e la bradicardia sono reversibili al ripristinare di una corretta alimentazione), e un monitoraggio seriato della funzione cardiaca onde potere intervenire tempestivamente per correggere le alterazioni del ritmo al loro manifestarsi“. Concludono i magistrati della Corte d’Appello.
Amaro l’intervento di Ilaria, sorella di Stefano, su Facebook:
“La sentenza nei confronti dei medici, quella ha concluso il primo processo ‘Kafkiano’, nonostante sia basata su risultanze mediche falsate e deviate, come accertato dalle successive indagini fatte dalla procura di Roma e dai giudici della Corte d’Assise di Roma bis, ha comunque riconosciuto la multifattorialita della morte di Stefano“.
“Senza quel violentissimo pestaggio non sarebbe mai stato ricoverato al Pertini e non sarebbe morto tra atroci sofferenze – ha aggiunto Ilaria -. Non dimentichiamo che al momento del suo arresto era da poco uscito dalla palestra“.
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