I risultati di un recente studio spagnolo, indicano che i pazienti con Covid-19 trattati con la vitamina D corrono un rischio ridotto di ricovero in terapia intensiva e ne diminuisce la mortalità.
Quanto affermato è una scoperta interessante, basata sullo studio condotto da un team di ricerca spagnolo.
Il team dell’Unità Covid- dell’ospedale Mar Di Barcellona – tra il 1° marzo e il 31 maggio 2020, ha trattato 551 pazienti ricoverati per Covid somministrandogli capsule di calcifediolo per via orale.
Il calcifediolo o 25-idrossicolecalciferolo è il primo metabolita della vitamina D3.
Il trattamento è stato il seguente:
I restanti pazienti non hanno ricevuto questo trattamento.
L’indagine condotta mostra l’efficacia della Vitamina D3 contro l’infezione del coronavirus, riducendone la gravità della malattia.
I dati riportano che su 930 pazienti ben 551 sono stati trattati con la vitamina D3. Di questi solo il 5.4% dei trattati con il calcifediolo, hanno avuto bisogno della terapia intensiva.
Mentre, su 379 pazienti non trattati, la percentuale è salita al 21%.
In breve, l’analisi statistica rivela differenze significative anche in termini di mortalità. Infatti, su 551 pazienti trattati con calcifediolo solo il 6,5% è deceduto, mentre quelli deceduti senza trattamento corrispondo al 15%.
Questo dato, va contestualizzandolo nel corretto utilizzo dei livelli di vitamina D in base ad: età, sesso e le diverse patologie di alcuni pazienti. Tuttavia, ha mostrato in definitiva una riduzione della mortalità da Covid-19 del 60%.
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Gli autori dello studio riportano che :”abbiamo osservato che nei pazienti Covid ospedalizzati, il trattamento con calcifediolo ha ridotto la necessità di terapia intensiva di oltre l’80%”. Inoltre, i ricercatori sostengono che la somministrazione della vitamina prima dello sviluppo dell‘insufficienza respiratoria acuta (ARDS) è di fondamentale importanza al fine di ridurne la mortalità. Infatti, il trattamento dopo il ricovero in terapia intensiva non ne ha modificato la sopravvivenza dei pazienti.
I dati presenti su The Lancet confermano che età e obesità sono chiaramente dei fattori di rischio aggiuntivi. Infatti, la gravità dei sintomi di chi ha contratto il virus è vincolata a questi due fattori e indicano una carenza di Vitamina D.
Gli esiti della ricerca indicano che:”la rilevanza di una determinazione adeguata della vitamina D il prima possibile nel contesto dell’infezione da coronavirus Sars-Cov-2.” Inoltre, affermano che:” la carenza è frequente ma facilmente correggibile, sebbene siano necessari ulteriori studi per chiarire gli effetti dei livelli circolanti di vitamina D e D3 sulla gravità della malattia in persone con diversi stati di vitamina D al basale”.
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Gli studi che dimostrano il legame tra la Vitamina D e il Covid-19 e quanto, la carenza di quest’ultima sia strettamente correlata con lo sviluppo di sintomi gravi dei pazienti affetti da Sars-Cov-2, sono numerosi.
Precedenti ricerche in Italia, avevano mostrato stessi risultati.
In merito alla questione, il professor Sandro Giannini, dell’Università di Padova, ha affermato che:“I pazienti della nostra indagine, di età media 74 anni erano stati trattati con le associazioni terapeutiche allora usate in questo contesto e, in 36 soggetti su 91 (39.6%), con una dose alta di vitamina D per 2 giorni consecutivi. I rimanenti 55 soggetti (60.4%) non erano stati trattati con vitamina D”.
Bisogna dunque comprendere se agire come il Regno Unito, iniziando a somministrare gratuitamente integratori di Vitamina D in via del tutto preventiva.
Non ci resta che rimanere in attesa di ulteriori informazioni e delucidazioni sulla questione, e di nuove direttive da parte del governo.
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